Basket

Il piano diabolico di Stevin Smith

Stefano Olivari 12/10/2021

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Chi si ricorda di Stevin Smith? Domanda che vale anche per gli appassionati di pallacanestro italiana, visto che ‘Hedake’ lo si è visto anche in una Scafati di culto, compagno di Rick Apodaca e di un giovanissimo Gigi Datome. Stevin Smith è stato agli inizi degli anni Novanta una mini-stella NCAA ad Arizona State, ma è ricordato soprattutto come protagonista di uno dei casi di basket-scommesse più famosi della storia, essendo del resto stato anche uno dei pochi scoperti. Situazione che a Smith e ai suoi complici ha portato una breve permanenza in carcere, e adesso un documentario su Netflix (ormai mancano soltanto Pinamonti, Carotti, i Via Verdi e Gegia) nella serie Bad Sport, che fra l’altro ne ha anche uno su Calciopoli che forse non recensiremo: noi notoriamente aborriamo i click facili…

In I Devils e il piano diabolico, titolo italiano di Hoop schemes, la parte davvero interessante è quella relativa al contesto in cui matura la truffa che poi è truffa fino a un certo punto: il point-shaving si basa non sull’alterare vittorie o sconfitte, ma sullo scarto. Dire che Arizona State vincerà contro Oregon con un handicap di 12 significa che le scommesse su Oregon saranno vincenti sia in caso di vittoria della sfavorita sia in caso di vittoria di Arizona State con meno di 12 punti di scarto. Ed è ovvio che lo scarto possa essere taroccato meglio dai giocatori della squadra più forte: qualche palla persa, due passaggi ad un cattivo attaccante ed ecco che il margine torna sotto quello previsto.

Il contesto, dicevamo. Che è quello in cui Smith, point guard che nel 1994 è al suo quarto anno di college e destinata ad una sicura carriera NBA, e il compagno-socio in affari Isaac Burton pur vivendo grazie ad una borsa di studio sportiva faticano ad andare avanti e facilmente vengono agganciati da un gruppetto di scommettitori che dietro pagamento di 20.000 dollari a partita li convince a fare le cose ‘giuste’ per sistemare il punteggio, quando necessario. Va quasi sempre bene, con gli scommettitori che a Las Vegas piazzano tante piccole giocate per non dare nell’occhio arrivando anche ad incassare 5 milioni di dollari, ma i sospetti crescono e la brutta fama di Smith precede l’esito dell’indagine dell’FBI: nella NBA giocherà solo poche partite ai Mavericks, prima di entrare in carcere e poi di guadagnare qualche soldo in Europa.

A colpire di Smith (oro con gli USA nel 1993 ai Mondiali Under 21 dopo aver battuto in semifinale l’Italia di Bonora, Abbio, Fucka e De Pol) e di Burton è la naturalezza con cui decidono la truffa, per non dire delle motivazioni (fra le spese ritenute indispensabili anche i collanoni e far scurire i vetri dell’auto…) e la mettono in atto, da brividi pensando alle mille partite in cui misteriosamente si costeggia lo spread andando poco di qua o poco di là, fino a quando qualche giocata strana dà una direzione precisa al punteggio: quanti tarocchi abbiamo subito, anche come semplici spettatori? Quanti punteggi misteriosamente in equilibrio fino ai 5 minuti dalla fine, dando per certi versi ragione a Maurizio Mosca, prima che si faccia sul serio… Smith nel documentario dà la colpa alla NCAA che non permetteva di pagare gli atleti, seguendo l’idea (secondo noi infondata) che i ricchi siano più portati ad essere onesti.

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