Calcio

I furbi contro il mito a metà

Stefano Olivari 12/02/2010

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di Stefano Olivari
Il sorteggio integrale degli arbitri nel campionato 1984-85 è un mito a metà, per riprendere il titolo di una fortunata (più del giornale che la ospitava, adesso mensilizzata) rubrica del Guerin Sportivo: non c’erano 18 arbitri sorteggiati su 18 partite (all’epoca c’erano 16 squadre in serie A e 20 in B), ma fasce che nel corso di quella stagione si modificarono.
La situazione più vicina al sorteggio integrale fu quella delle tre fasce da sei squadre ciascuna, al cui interno gli arbitri (designatore era D’Agostini) avevano davvero la stessa probabilità di essere sorteggiati per ognuna delle sei partite. Situazione diversa sia dal sorteggio integrale (un esperimento durato poche giornate, in piena era Bergamo-Pairetto) dalle mini-griglie che anche senza essere Moggi rendevano per un addetto ai lavori facilmente prevedibili le designazioni: al massimo l’incertezza era su due nomi, sorvolando sul teatrino del sorteggio con i giornalisti spettatori stupidi, distratti o conniventi.
Non è un invece un mito il fatto che un Verona di giocatori poco sopra la media (di alto livello, da attirare l’interesse di un grande club, potevano essere considerati solo Briegel e Elkjaer mentre nella classe media rientravano Fanna, Marangon, Tricella, Di Gennaro e Galderisi che pure le loro occasioni in una grande piazza le avevano o le avrebbero avute) si lasciò alle spalle un ottimo Torino, la migliore Inter dei 27 anni fra Moratti padre e Moratti figlio, la Juventus di Platini e dei campioni del mondo che in Europa dominava,  il primo Napoli di Maradona, l’Udinese di Zico, la Roma appena arrivata a un rigore dalla Coppa Campioni, una Fiorentina ambiziosa, un Milan più che buono (tre quarti della difesa sacchian-capelliana, più il centravanti della nazionale inglese e il regista del Manchester United), eccetera.
La solita valanga di nostalgia per arrivare al presente, con l’ipotesi del sorteggio arbitrale più o meno integrale che è già stata derubricata a boutade del dimezzato presidente Beretta. Nessun presidente ieri in Lega ne parlava apertamente, al di là delle battute di Zamparini sulle pagelle e del tiepido sostegno del sampdoriano Marotta o del moggian-barese Perinetti, non a caso si sono esposti solo quelli del no. Abete, l’uomo forte della A Galliani (ne avrà parlato al ristorante con Collina?) e soprattutto, con parole incredibili (essendo uscite dalla bocca di uno che dieci giorni prima parlava di complotti planetari contro l’Inter), Ernesto Paolillo: ”Sarebbe deprimente svilire l’Aia con un sorteggio integrale e con giudizi che non vanno bene”. Ma non era Galliani che si era apparecchiato tutto, calendario e dintorni, per l’aggancio? (Domanda retorica: la nostra risposta è sì, ma non siamo furbi come Paolillo). Il punto è proprio questo: le grandi tradizionali, ma anche quelle che aspirano ad esserlo (Fiorentina, Roma, Napoli), seminano sospetti quando pensano (o gli fa comodo pensare) di essere vittime ma non accettano di essere messe sullo stesso piano di importanza dell’Atalanta o del Chievo della situazione. Un po’ come quelle ridicole campagne del genere ‘i campioni vanno tutelati’: che giocassero da soli, i campioni. Accettano insomma la legge del più potente nei confronti del resto della serie A, visto che il loro sgradimento verso un arbitro rovina una carriera, ma al loro interno contestano quella del più furbo che invece con queste regole è inevitabile.
stefano@indiscreto.it

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