Basket

Gli italiani che ancora ci sono

Indiscreto 26/01/2018

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Gianni Petrucci è convinto che il dibattito sulle nuove regole per gli stranieri in serie A faccia bene alla pallacanestro italiana, perché è anche così che si conquista spazio mediatico. Non sembra in realtà che i media generalisti si siano appassionati alla battaglia fra sostenitori del ‘sei più sei’ e dintorni contro quelli dello status quo o di una liberalizzazione totale: nella migliore delle ipotesi tutto è rimasto confinato nelle brevi. Di sicuro l’ufficializzazione della lista dei 24 convocabili (attenzione: convocabili, non convocati) per le prossime due partite di qualificazione mondiale vale più di qualsiasi discussione, perché in qualche modo offre un panorama dell’Italia profonda.

Ricordando che Sacchetti per le partite con Olanda (venerdì 23 febbraio a Treviso) e Romania (lunedì 26 a Cluj) ha dovuto in partenza fare a meno di Gallinari, Belinelli, Datome, Melli e Hackett, oltre che di Bargnani che di fatto si è ritirato, colpisce la quasi totale assenza di giocatori di A2, un campionato in cui gli italiani giocano per decreto, con le regole della pallacanestro con cui siamo cresciuti e con un pubblico in alcune piazze tranquillamente da serie A. Della categoria inferiore il commissario tecnico ha ritenuto degno di essere del giro della Nazionale soltanto Francesco Candussi, lungo di Mantova. Fra i 24 ci sono 7 elementi di 30 più anni (tutti con buone possibilità di essere poi fra i 12 convocati) e solamente 3 Under 21: Candi, Flaccadori e Okeke. Rispettivamente 18,7 e 21,2 e 14,9 minuti a partita nella serie A in corso.

E quindi? Sei stranieri senza distinzione di nazionalità (asterisco: ci deve essere anche l’approvazione del CONI, visto che nella realtà molti andrebbero su sei americani puri) e sei italiani, la soluzione attualmente più probabile, hanno come conseguenza l’utilizzo per squadra, con rotazioni realistiche, di due o tre italiani veri, dove ‘veri’ significa schierabili in Nazionale (quindi anche Burns, Filloy, eccetera) e non necessariamente di formazione. Senza dimenticare chi gioca all’estero, anche nella NCAA (Oliva, Bernardi, Giovanni De Nicolao), oltre ai 24 ‘convocabili’ citiamo in ordine sparso chi gioca almeno 10 minuti a partita in A: Cinciarini, Cervi, Mussini, Stefano Gentile, Tonut, Ndoja, De Nicolao, Tambone, Cusin, Alibegovic, Laquintana, Poeta, D’Ercole, Cournooh, Mazzola, Spissu, Portannese, Monaldi, Ferrero, Magro, Parrillo, Ancellotti, Cardillo. E magari ne dimentichiamo qualcuno… Insomma, nella serie A attuale invasa da stranieri low cost trovano un posto decente e in certi casi anche di primo piano circa una cinquantina di italiani. Tre per squadra ci sarebbero, quindi, senza inventarsi cose strane o promuovere d’ufficio quelli di A2, dove comunque ce ne sono diversi superiori a quelli citati.

Il discorso è quindi puramente finanziario: la specie ‘protetta’ sarebbe secondo alcuni anche più costosa rispetto a uno straniero di pari valore. Questo però può essere vero per i pochi italiani che davvero fanno la differenza, ma non certo per i giocatori di contorno: fra i 23 (più Candussi) di Sacchetti e i 23 da noi citati, almeno la metà potrebbe essere sostituita da un collega di A2 senza che si noti la differenza. La riforma di Petrucci è quindi senz’altro applicabile, anche se rimangono indefiniti gli obbiettivi. Con questo mini-protezionismo si produrrebbero più giocatori da Nazionale? Il pubblico si affeziona di più alle squadre con un maggior numero di italiani? I media darebbero maggiore spazio a uno sport con più italiani protagonisti, almeno nell’orticello di casa perché poi nelle coppe vige il ‘liberi tutti’? Ognuno ha la sua risposta, magari legata anche a convinzioni politiche extrasportive. Le nostre sono ‘forse no’ alla prima domanda e ‘probabilmente sì’ alle altre due: un tentativo si può comunque fare.

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