Basket
Funerale vichingo
Simone Basso 12/05/2011
di Simone Basso
Il pericolo del Monte Crostis, la circolazione dei Mavs, lo  sport di Westbrook, la targa presa da Djokovic e la prima volta di  Nadal.
1. Andando verso Livorno mancavano solamente le fiamme e la barca, ma la processione per Wouter sembrava un funerale vichingo. Consolante  la reazione della folla, tantissima, assiepata lungo le strade:  malgrado la neutralizzazione della tappa tutti erano consci del  significato (doloroso) di quel corteo. Ieri si passava dalla Toscana  all’Umbria con la meraviglia di un paesaggio bucolico decorato dal  Nebbia. Talmente bello e vero che dava l’impressione di essere finto. I  girini hanno ripreso il mestiere dalle corna e sulle strade bianche non  sono mancati gli spunti oltre che i ruzzoloni. Abbiamo notato un Nibali  moseriano, uno Zapatero aggressivo e il torero che gioca a  nascondino. Ci auguriamo che qualcuno suggerisca a Zomegnan un percorso  alternativo nella frazione dello Zoncolan. Il Monte Crostis, una  mulattiera infame appena asfaltata, ha una discesa che in caso di  pioggia potrebbe decidere la corsa rosa. E non vorremmo assistere ad  altre tragedie. 
2. Il Mississippi che straripa, Graceland,  uno svizzero, un iraniano, un congolese, un panchinaro di Ucla e il  figlio di un campione olimpico di salto triplo. Un ragazzaccio  dell’Indiana, un catalano, una guardia di 207 centimetri e una folla di  invasati. La gara4 tra Memphis e Oklahoma City ha pochi eguali nella  storia della pallacanestro moderna: la cifra emotiva di quei sessantatre  minuti è debordante; manco fossero gli scherzi tridimensionali, le  visioni matematiche, di Escher. Comunque vada, l’anello Nba andrà ad una  squadra imperfetta, in corso d’opera o all’ultimo tango. In effetti i  Mavs, con quella circolazione di palla esasperata e gli isolamenti per  WunderDirk, giocano un basket ambizioso (nelle geometrie) e  piacevole. Sono l’unica alternativa esperta al tracimare della nuova  generazione: prendendo spunto dall’addio (temporaneo?) di Phil Jackson,  la stagione attuale assomiglia maledettamente al 1991.
Gli Heatles hanno momenti difensivi di grandissima quantità e vincono malgrado un attacco afasico, egemonizzato dalle due belve.
Gli Heatles hanno momenti difensivi di grandissima quantità e vincono malgrado un attacco afasico, egemonizzato dalle due belve.
3. I Thunder non hanno un playmaker ma si affidano (?) a una cyber-point come Westbrook,  che ha la fisicità di un tre e i garretti di un due. Russell ignora  bellamente i ritmi della partita, le spaziature dei suoi e pure Kevin  Durant: va diritto verso il ferro, velocissimo, e per adesso (leggendo  il referto finale) ha quasi sempre ragione. Ma il suo antibasket  depotenzia un dioscuro del livello di Durantola. Previsioni future per i  Thunder: James Harden è indispensabile, perchè crea dal palleggio e  gira magnificamente i blocchi. I Bulls hanno il sistema più sofisticato  per paralizzare il nemico ma difettano nella varietà delle soluzioni  offensive. Curioso il fatto che stiano evolvendo contro il giocatore  che, se indossasse la maglia dei Tori, farebbe compiere alla ciurma di  Rose l’ultimo salto di qualità. Ci riferiamo alla versatilità un po’  folle, su entrambi i lati del parquet, di Josh Smith. Prevalgono  comunque l’atletismo debordante e l’aggressività a scapito  dell’organizzazione collettiva: non è un bel segnale se lo affianchiamo  alle sezioni di pallanuoto senza acqua viste a Barcellona. Chiudiamo con  un paio di osservazioni sulla fine di un’epoca. Quest’anno Kobe Bryant,  nei playoff, è andato alla linea del tiro libero 6,1 volte a  partita. L’anno scorso registrò 7,96 gite; 8,96 nel 2009 e 9,24 nel  2008. Il suo declino atletico si legge benissimo in queste cifre;  proprio come quello di Garnett si evidenzia quando sbaglia l’angolo  dello stagger per Ray Allen. 
4. Tempo di Foro Italico, passaggio obbligatorio verso la gloria Slam di Parigi. Nole  Djokovic è il vero numero uno del circo Atp: la classifica mente. A  Madrid, complice anche l’altura e una terra “veloce”, ha infilzato Nadal  anche sulla superficie preferita dal manacorino. Sorprende che Rafa sia  stato surclassato ripetutamente con le armi preferite dallo stesso  spagnolo: profondità, vis agonistica e ritmo.
Per dirla con Elena Pero: “Sta digerendo un po’ della sua stessa medicina”. In un evo che impone l’omologazione dei campi di gioco e dello stile tennistico, i cambiamenti tecnici tra cemento e argilla sono ormai minimi. E’ una questione di condizionamento atletico e applicazione tattica; prevale chi ha la migliore combinazione di potenza, resistenza e precisione. Djoker ha la targa dello spagnolo, a cominciare dalla diagonale preferita dal Minotauro: il dritto di Nadal, col toppone estremo, incappa nel micidiale rovescio bimane del serbo che lo soverchia in allungo. Incontenibile nella sua versione lungolinea, Nole ama la progressione degli scambi, alimentandosi dell’energia altrui. Trattasi della nemesi nadaliana meno prevedibile: viene sconfitto da un giocatore che replica a specchio molte peculiarità dell’isolano.
5. Per la prima volta in carriera Rafa soccombe sulle accelerazioni e la pressione da fondocampo, perdendo spazio durante gli scambi prolungati e violenti. Ma la novità assoluta è rappresentata dalla difesa di Djokovic: controlla e gestisce il topspin dell’avversario con un agio mai visto prima. Quando è in difficoltà, potendo contare su un’elasticità muscolare favolosa, allunga il passo e alza la traiettoria riguadagnando il terreno perduto. Lo fa, incredibile ma vero, sul suo colpo “debole”, il dritto. Significative le fasi iniziali del punto: il servizio esterno del campione degli Australian Open insiste sul rovescio dell’altro, aprendosi automaticamente il campo per la soluzione vincente. Il manacorino è invece in imbarazzo soprattutto sulla sua seconda battuta: è costretto ad accorciare quando viene aggredito dalla risposta di Nole. Da quel momento, troppe volte, il pallino è in mano a Spazzola che manovra a piacimento lo scambio. In ottica Roland Garros attendiamo nuove strategie dal nipotino dello zio Toni. Il 2011 rischia di essere la stagione che chiude definitivamente il duopolio che ha retto il circuito per un lustro: sta a Roger e Rafa, in una prospettiva che inquadra pure Wimbledon, ribaltare questa percezione della realtà.
Per dirla con Elena Pero: “Sta digerendo un po’ della sua stessa medicina”. In un evo che impone l’omologazione dei campi di gioco e dello stile tennistico, i cambiamenti tecnici tra cemento e argilla sono ormai minimi. E’ una questione di condizionamento atletico e applicazione tattica; prevale chi ha la migliore combinazione di potenza, resistenza e precisione. Djoker ha la targa dello spagnolo, a cominciare dalla diagonale preferita dal Minotauro: il dritto di Nadal, col toppone estremo, incappa nel micidiale rovescio bimane del serbo che lo soverchia in allungo. Incontenibile nella sua versione lungolinea, Nole ama la progressione degli scambi, alimentandosi dell’energia altrui. Trattasi della nemesi nadaliana meno prevedibile: viene sconfitto da un giocatore che replica a specchio molte peculiarità dell’isolano.
5. Per la prima volta in carriera Rafa soccombe sulle accelerazioni e la pressione da fondocampo, perdendo spazio durante gli scambi prolungati e violenti. Ma la novità assoluta è rappresentata dalla difesa di Djokovic: controlla e gestisce il topspin dell’avversario con un agio mai visto prima. Quando è in difficoltà, potendo contare su un’elasticità muscolare favolosa, allunga il passo e alza la traiettoria riguadagnando il terreno perduto. Lo fa, incredibile ma vero, sul suo colpo “debole”, il dritto. Significative le fasi iniziali del punto: il servizio esterno del campione degli Australian Open insiste sul rovescio dell’altro, aprendosi automaticamente il campo per la soluzione vincente. Il manacorino è invece in imbarazzo soprattutto sulla sua seconda battuta: è costretto ad accorciare quando viene aggredito dalla risposta di Nole. Da quel momento, troppe volte, il pallino è in mano a Spazzola che manovra a piacimento lo scambio. In ottica Roland Garros attendiamo nuove strategie dal nipotino dello zio Toni. Il 2011 rischia di essere la stagione che chiude definitivamente il duopolio che ha retto il circuito per un lustro: sta a Roger e Rafa, in una prospettiva che inquadra pure Wimbledon, ribaltare questa percezione della realtà.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)


