Attualità

Einaudi primo per distacco

Stefano Olivari 30/08/2013

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Napolitano ha appena nominato quattro senatori a vita, quattro che non hanno bisogno di una carica in più e a occhio nemmeno dell’immunità parlamentare: onestamente non avevamo mai sentito nominare Elena Cattaneo e non siamo così wikimaniaci da copiare la relativa voce, ma gli altri tre (Claudio Abbado, Renzo Piano e Carlo Rubbia) sono indiscutibilmente in linea, per valore nel loro campo, con un profilo di senatore a vita che invece in altre occasioni è stato tradito in favore di politici bolliti. Anche se poi tutti hanno un’opinione politica, anche quelli che ‘Io non mi intendo di politica, sono tutti ladri’. Piano non ha una targa politica italiana, anche se di sicuro non vota per il centro-destra, mentre antiberlusconiani dichiarati sono di sicuro Rubbia, fra l’altro ex consulente di Prodi, e Abbado. Insomma, come ci hanno insegnato a scuola (anzi, a squola) e sui giornali, la vera cultura è di sinistra. Al massimo cattolica, che poi ci si mette d’accordo contro il nemico comune. Più spesa pubblica, più Kabobo, più Kalergi, più commozione boldriniana, più lezioni di vita non richieste. Ma quanti sono stati, nella storia della Repubblica, i senatori a vita senza una appartenenza politica? All’inizio tanti, anzi tutti: Luigi Einaudi, miglior presidente italiano per distacco (il nostro unico parametro è la cultura liberale, quindi la distanza anche psicologica da comunismo e fascismo), fece un sette su otto di grandi artisti e scienziati, da Toscanini a Trilussa, con il politico (molto sui generis, visto che pur essendo stato fra i fondatori del Partito Popolare non aderì mai alla Democrazia Cristiana) che era Don Sturzo. Tutti politici i prescelti da Gronchi e Segni, bifronte Saragat: due politici di primissimo piano come Nenni e quello che sarebbe stato il suo successore, Leone, un futuro premio Nobel come Montale e lo storico dirigente della Fiat Vittorio Valletta (quello che stava in ufficio mentre Agnelli era a Capri). Leone nominò solo Fanfani, mentre il nazionalpopolare Pertini riuscì a inserire figure di alto profilo come Eduardo De Filippo, Carlo Bo e Norberto Bobbio nella sua cinquina (ricordiamo come fossero oggi le voci su Bearzot, che peraltro sarebbe stato perfetto). Da ammiratori di Cossiga consideriamo deludenti le sue nomine, tutte politiche tranne quella di Agnelli che poi era la più politica di tutte: a tutt’oggi sfuggono i meriti dell’Avvocato nel miglioramento della società, a parte l’introduzione dell’orologio sopra il polsino e l’esportazione di valuta. Scalfaro non nominò nessuno e rimane l’unico merito del suo settennato, mentre Ciampi oltre a Napolitano ed Emilio Colombo ebbe il merito di fare senatori Rita Levi Montalcini e il poeta Mario Luzi, più la nomina molto creativa di Sergio Pininfarina. Il Napolitano Uno ha nominato solo Monti, per i noti motivi, ed eccoci ai giorni nostri. Dove quattro voti in più o in meno al Senato possono cambiare la storia d’Italia. Conclusione? Einaudi è morto e noi stiamo poco bene.

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