Calcio

Diritti dopo la morte

Stefano Olivari 27/01/2009

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di Stefano Olivari

Il Mondiale è in vendita, così come Kakà, la Juventus, il gruppo Espresso-Repubblica ed in generale qualsiasi cosa abbia un prezzo (giornalisti compresi). C’è anche l’ormai classico acquirente arabo, nell’occasione il Qatar, che si è ufficialmente candidato per l’organizzazione del torneo ‘vero’ del 2018 o al limite del 2022. Concorrenti per il 2018 l’Inghilterra e due abbinate: Belgio-Olanda e Spagna-Portogallo. Il tutto in attesa della discesa in campo russa o cinese, per un futuro spaventoso non solo in senso calcistico. Con Sepp Blatter che ha quasi 73 anni e aspirazioni da faraone, volendo ipotecare il futuro anche dopo la sua dipartita: nel dicembre 2010 infatti per la prima volta saranno assegnate le organizzazioni di due edizioni del Mondiale, 2018 e 2022. Una porcheria assoluta, con una spiegazione molto materiale: la vendita super-anticipata dei diritti televisivi, vera specialità della casa (con le vette toccate dalla mitica ISL, in occasione delle edizioni 2002 e 2006), permette di scontare in anticipo i diritti stessi e di spendere l’impossibile, fra Goal Project e gettoni di presenza nelle mille commissioni, sistemando oltretutto anche i bilanci. Siamo bravi nell’autoflagellazione, ma l’Italia calcistica non ha il monopolio del cialtronismo: non a caso il tribunale competente per qualsiasi questione inerente la FIFA è quello di Zurigo, un po’ come se Aceto potesse essere giudicato solo a Siena o Al Bano a Cellino San Marco: accuse sempre cadute, come quelle per il crack di inizio millennio. La parte più bella dello sport più popolare del mondo è in mano ad una persona eletta ma di fatto con poteri dittatoriali, oltretutto giudicabile solo a casa sua. E di cui parliamo anche malvolentieri, perché troviamo vile criticare lo straniero che non querela e magari elogiare Abete. Però, più concretamente, se non riusciamo ad avere il tempo effettivo ed uno straccio di supporto tecnologico all’arbitro almeno per le situazioni di posizione la colpa non è di Abete ma di chi esalta in chiave di marketing e di potere la figura di Bakhramov.
stefano@indiscreto.it

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