Economia

Come si lavora in Italia

Stefano Olivari 27/04/2021

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In Italia si lavora bene o male? Spoileriamo la risposta: male. Le statistiche 2019 sul contributo al PIL per ora lavorata, fornite dall’OECD (cioè l’OCSE), dicono che il lavoratore più produttivo del mondo è quello irlandese: una sua ora di impegno vale nella media 102,7 dollari americani di PIL. A seguire Lussemburgo (94,8), Norvegia (84,3), Danimarca (75), Svizzera (74,4), Stati Uniti (71,8), Svezia (69,9), Austria (68,7), Olanda (67,6), Francia (67,5), Germania (66,4), Gran Bretagna (58,4) e tutti gli altri. E l’Italia? 53,4 dollari di PIL, il contributo per ora lavorata media. Dalla classifica manca la Cina, per mancanza di dati credibili.

Ovviamente dove convergono grandi investimenti, come appunto in Irlanda, investimenti non soltanto di evasori fiscali, o dove dominano finanza e tech è chiaro che la produttività per ora lavorata è più alta rispetto a quella dei paesi manifatturieri o basati su manodopera a bassa specializzazione: la politica quindi conta, ma per scelte di lungo periodo. Estremizzando il concetto: rudere con annesso gift shop o autosufficienza energetica? Guardare l’evoluzione temporale della produttività è comunque più interessante delle classifiche statiche: l’Irlanda dei primi anni Ottanta, quella dei giovani U2, aveva una produttività all’ora inferiore di 12 dollari (25 contro 37) a quella italiana.

Ed è molto significativo che nel nostro paese questo valore, oscillando fra i 48 e i 54, sia rimasto pressoché uguale dalla fine della Prima Repubblica, quindi dal 1994, ad oggi. Di più: nel 1994 un lavoratore italiano medio valeva, in termini statistici, esattamente quanto uno statunitense. Cosa è successo nel frattempo, al di là di svendite miserabili e di politiche da sudditi? 14 anni di governi di sinistra, 9 anni di destra, 3 di tecnici più quello indefinibile Lega-5 Stelle per rimanere al punto di partenza. Che non è una fissazione statistica, visto che quasi tutti si sono mossi verso l’alto.

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