Calcio

Chi non vuole il Chievo da scudetto

Stefano Olivari 28/04/2011

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Juventus, Inter, Milan, Roma e Napoli raccolgono insieme almeno l’80% dei tifosi italiani, è una delle poche stime su cui tutti i sondaggisti concordano. Nessuno lo nega, nemmeno le altre 15 di quella che per convenzione chiamiamo serie A. Però la battaglia per la divisione di 200 milioni di diritti televisivi (il 25% del totale), fondata su un bizantinismo della anti-liberale legge Melandri, è molto più che una questione di soldi e riguarda l’intero modello di sviluppo del nostro calcio.
In sintesi: meglio poche squadre fortissime che perpetuano il proprio potere e (a volte) fanno strada in Champions League o far crescere una classe media con speranze di arrivare in alto nel giro di qualche anno? Una domanda impopolare, proprio per l’esistenza dell’80% di cui sopra. Siccome a un interista non importa del futuro della Fiorentina e a uno juventino di quello del Lecce, bisogna chiedersi che cosa si vorrà vendere in futuro al mondo e agli stessi (tele) spettatori italiani: il prodotto serie A o la solita cavalcata di due o tre grandi con la speranza che l’assegnazione dello scudetto sia incerta fino alla fine?
Perchè il punto è proprio questo: il tifoso di una delle cinque è pronto a sottolineare i complotti delle altre, ma non accetterebbe mai di essere considerato politicamente della stessa importanza del Chievo. Soprattutto non accetterebbe mai che il sistema debba creare le condizioni per cui il Chievo nell’arco di 3 stagioni possa passare dall’obbiettivo salvezza a quello scudetto, visto che partecipa allo stesso torneo delle altre 19 squadre. Il 2011 è 30 anni dopo il 1981 ed è quindi impossibile spiegare a un bambino genovese perchè arrivata alle soglie della Champions League la sua squadra si è di fatto auto-smantellata senza avere problemi finanziari, un po’ perchè i giocatori chiave hanno capito che lì non si sarebbe mai vinto e un po’ perchè Garrone ha pensato che ci fosse un muro invalicabile.
La chiave del discorso è questa, non l’integrazione fra tifoso e simpatizzante (peraltro discutibilissima: il tifoso compra quasi tutto, il simpatizzante quasi niente). Facile previsione: le cinque grandi proporranno e faranno proporre dai loro giornalisti la barzelletta della distanza da Barcellona e Real Madrid, senza pensare all’importanza dell’Europa League (e quindi della classe media) nel determinare il ranking Uefa e alla posizione in Bundesliga dello Schalke 04 o in Premier league del Tottenham, le altre 15 accetteranno un compromesso. L’importante è non sapere in quale direzione si sta andando, forse ricordando la famosa frase di Andreotti su Cristoforo Colombo. Inutile prendersela con i Galliani della situazione, la verità è che gran parte di quell’80% di tifosi non è culturalmente pronta ad accettare un ricambio. Meglio fregarci fra di noi, a rotazione, che mettere in discussione il dogma delle grandi. Come se Juventus, Inter e Milan fossero seguite in tutta Italia per diritto divino e non perché nel corso di un secolo hanno sempre vinto o almeno avuto campioni di grande popolarità. Una situazione evidente guardando il Napoli, al quale sono bastati sei anni e mezzo di Maradona per guadagnare decine di migliaia di tifosi fuori dal suo naturale bacino di utenza, o il Torino nella fascia di età di chi è stato bambino negli anni Quaranta.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it
(pubblicato sul Guerin Sportivo)

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