Attualità

Nessuno in piazza contro la nuova via della Seta

Indiscreto 09/03/2019

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Dopo la conferma di Giuseppe Conte adesso la notizia è sicura: entro il 22 marzo, giorno dell’arrivo in Italia del presidente cinese Xi Jinping, il nostro governo firmerà l’accordo commerciale con la Cina che è stato sintetizzato con la definizione di ‘Nuova via della Seta’. Quella vecchia, di via della Seta, risale a prima della nascita di Cristo e nel corso dei secoli ha assunto significati diversi (venendo chiamata così solo nell’Ottocento) anche se il senso è chiaro: strade, reali e metaforiche, che uniscano la Cina e i paesi europei.

La ‘Belt and Road Initiative’ è sul piano formale poco più che una dichiarazione di intenti, ma i soldi che potenzialmente la Cina potrebbe riversare sui paesi per così dire amici sono quasi infiniti: fra aziende formalmente private e aziende di stato si superano in scioltezza i 500 miliardi di dollari di stanziamenti già effettuati e i 1.500 previsti. Tutto ancora molto teorico, perché la realtà del 2018 dice che tutti gli investimenti cinesi in Europa messi insieme non hanno superato i 20 miliardi di dollari.

Ma al di là dei soldi è il significato politico ad essere per la Cina fondamentale: creare un asse con il mondo civilizzato, dopo essersi comprati mezza Africa, proprio in questo momento storico in cui l’America ha tendenze isolazioniste. Un asse non con l’Europa, ma con singole sue parti: Portogallo, Grecia, Ungheria, Polonia, adesso Italia. Questi i fatti, che si possono leggere un po’ ovunque. Ma dove vogliamo andare a parare?

Non sulle strategie di Steven Zhang, bensì sul significato culturale di un’operazione che l’Italia, non solo la vituperata pancia del paese ma anche le sue élite pronte ai weekend di primavera, non ha di fatto discusso e che ci legherà ad uno stato totalitario. Perché l’obbiettivo cinese non è avvalersi delle prestazioni di Lautaro Martinez e Gagliardini, ma impadronirsi di infrastrutture (soprattutto porti e ferrovie) e aziende con un contenuto tecnologico. Nonostante la faciloneria con cui ci stiamo gettando fra le braccia cinesi, la Belt and Road non è colpa tutta di questo governo ma di sicuro questo governo avrebbe potuto/dovuto stopparla: non ci sono più i sovranisti di una volta… Anzi, i dementi che plaudono all’uomo forte sono trasversali a qualsiasi tendenza politica. Insomma, la Nuova via della Seta non ha contro né i sovranisti, che sperano anzi che l’amico Xi continui a comprare i nostri BTP, né gli altri che vedono di buon occhio qualsiasi cosa renda l’Italia meno italiana. Vanno bene tutti: africani, musulmani, cinesi, al limite anche lussemburghesi.

E quindi? La facile previsione è che nessuno dei milioni di manifestanti del genere ‘Giù le mani da qualsiasi cosa’ scenderà in piazza contro un nuovo padrone che è meno democratico di Maduro (circa un anno fa è passata una ‘riforma’ che toglie ogni limite alla sua presidenza) ma che a differenza di quasi tutti i suoi interlocutori ha una visione di fondo con un orizzonte più ampio rispetto a quello della vecchietta No TAV e dei suoi rappresentanti. Un grande pericolo, nascosto dietro ai tecnicismi.

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