Calcio

Casagrande: all’Inferno e ritorno

Stefano Olivari 14/09/2022

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Provate ad immaginare un attaccante del Real Madrid, cioè della squadra campione d’Europa, l’anno prima protagonista al Mondiale con il Brasile, che viene ingaggiato dall’Ascoli, dove rimane per quattro anni, di cui una in Serie B, prima di andare al Torino. Ecco, negli anni Ottanta italiani accadevano cose del genere e questa non è che una piccola parte della storia di Walter Casagrande, benissimo raccontata da Enzo Palladini in Casagrande: all’Inferno e ritorno, per Edizioni inContropiede. La storia di un attaccante di culto, lento ma capace di far giocare benissimo i compagni, con la carriera condizionata dalla droga (tante canne e anche cocaina, prima di andare ancor più sul pesante), dagli infortuni e da una cattiva fama.

Un ribelle senza causa, fin dall’infanzia, che trova una causa nella mitizzata Democracia Corinthiana. Mitizzata fuori dal Brasile ma che lui ha sempre messo in prospettiva, così come il grande amico (a fasi alterne, fino alla riconciliazione prima della morte del Doutor) Socrates: i giocatori di quel Corinthians non facevano certo la formazione, ma avevano ottenuto di essere trattati in modo più umano, venendo interpellati per quanto riguarda le politiche societarie e la gestione della loro immagine. Da ricordare che in Brasile nel 1982-83 si era nella fase finale di una dittatura, quindi le battaglia di libertà di Socrates, Wladimir e dell’allora diciannovenne Casagrande assunsero anche un significato politico.

Questa biografia non ingigantisce l’importanza calcistica di Casagrande, che comunque Telé Santana convocò ai Mondiali del 1986 e che era stato sul punto di chiamare per quelli del 1982, ma ha il merito di farci rivivere un’epoca incredibile del calcio italiano. Un’epoca in cui un calciatore di quel livello accettava tranquillamente di lottare per la salvezza ed anche di scendere in Serie B (dove fu capocannoniere, insieme a Baiano e Balbo e davanti a gente come Ravanelli, Galderisi, Signori….), prima di fare bene, fra un infortunio e l’altro, al Torino: i due gol nella finale di coppa UEFA con l’Ajax, la Coppa Italia e tanto altro in due stagioni con Mondonico che i ragazzi di quel tipo li sapeva gestire benissimo.

Prefazione di Zé Elias, che da giovanissimo incrociò un ormai finito Casagrande tornato per pochi mesi al Corinthians, e presenza del lieto fine, nel senso che Casagrande dopo averne combinate di tutti i colori è ancora vivo e relativamente sano, e non ha ancora compiuto 60 anni. Per il nostro gusto personale stravince il Casagrande dell’Ascoli di Costantino Rozzi, che lo pagò al Porto (nella finale di Coppa dei Campioni da mezzo infortunato era stato in panchina insieme a Juary, che poi Artur Jorge fece entrare avendo da lui il gol della vittoria) un miliardo di lire. Come ha detto lui stesso, maledetto è un uomo che non ha una storia da raccontare. E Casagrande ce l’ha, senza avere qualcosa da insegnare.

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