Basket

Bryant per Falchetti e Mengoni

Stefano Olivari 30/09/2011

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di Stefano Olivari
Falchetti e Mengoni per metà Giordano e un quarto di Manfredonia. La vicenda Kobe Bryant alla fine si può sintetizzare così, con il fumo del presidente dell’indimenticata Longobarda. Il patron della Virtus Bologna Sabatini alla fine è riuscito a far citare il suo nome dai principali media mondiali, chiudendo l’operazione Bryant senza tirare fuori un euro. Dal suo punto di vista ha senz’altro vinto, con l’aggiunta del solito numero di passare da innovatore incompreso del sistema.
Però la vicenda Bryant, mentre stiamo scrivendo queste righe, sembra destinata ad entrare nella galleria degli orrori del basket italiano sotto la categoria ‘Mimmo Barbaro’ (quel presidente di Reggio Calabria che in un mese ingaggiò Recalcati, Myers e Sabonis con i soldi del Monopoli per poi scomparire). Non perché sia impossibile vedere Bryant in Europa, se il lockout NBA andasse per le lunghe sarebbe anzi addirittura probabile, ma perché ogni giorno venivano cambiate le carte in tavola: offerte per una partita, offerte per un mese, offerte per un pacchetto di dieci partite, accordo da trovare sull’assicurazione, pool di sponsor (in italiano significa che di sponsor non ce n’è mezzo) in arrivo e poi la ciliegina finale: il comunicato con cui Sabatini di fatto si tira indietro. Eccolo: ”Con grande stupore Virtus Pallacanestro prende atto che, a causa del parere negativo di alcuni club associati alla Lega Basket, non è possibile procedere con il palinsesto previsto delle 10 partite, mettendo così in forte discussione la piattaforma economica su cui si basa il progetto di portare Kobe Bryant in Italia”. In pratica la colpa del mancato arrivo della stella dei Lakers non è che Sabatini e la Virtus non abbiano i soldi per pagarlo, come è logico (non è un disonore non avere 3 milioni di euro al mese da mettere sul piatto), ma degli altri club cattivi che non hanno accettato di cambiare il calendario per permettere alla Virtus versione Bryant di giocare in grandi arene e in date speciali. Magari, come aveva ipotizzato l’inventore del Maraglio Day, contribuendo all’ingaggio: in pratica pagare per prendersi 40 punti in faccia da Bryant… Quindi dopo il pasticcio Reyer-Teramo, le 17 squadre e tutto il resto, la serie A avrebbe dovuto cambiare preventivamente un calendario già incerto solo perchè forse, ma diciamo forse, sarebbe potuto arrivare un grandissimo giocatore? Anche nel paese dei ‘manca solo la firma’ Sabatini si è insomma coperto di ridicolo, sorvolando poi sulla logica tecnica dell’operazione. In questo simile, nella sua mancanza di senso sportivo, a Gallinari all’Armani: colpetti pubblicitari pagati a caro prezzo, rappresentativi della provvisorietà di un campionato senza identità. Trent’anni fa venne a Milano un selezione NBA raccogliticcia, ma che aveva fra le sue fila una dei più grandi di sempre (Doctor J): un’esibizione indimenticabile, in un palasport oggi scomparso, di gente di cui si erano visti fino a quel momento solo pochi fotogrammi. Ecco, almeno in questo senso trent’anni non sono passati invano. Sappiamo tutti come giocano Bryant e Gallinari, soprattutto quando si fa sul serio, per questo le esibizioni vanno chiamate con il loro nome: esibizioni. Fino a prova contraria il campionato, anche il depresso campionato italiano, rimane un’altra cosa rispetto ai cinque alti dati a sconosciuti. 


stefano@indiscreto.it
(30 settembre 2011)

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