Calcio

Berlusconi non lo voleva cacciare

Stefano Olivari 15/05/2010

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di Stefano Olivari
Leonardo è il primo allenatore dell’era Berlusconi che lascia il Milan di sua volontà, senza essere esonerato o almeno pregato di accomodarsi altrove. Altro che ”decisione comune presa in amicizia”, come sostiene Galliani. Cosa significa?
Che un’era è finita, i soldi (anche in nero, con le facilitazioni fiscali spagnole non ancora operative) del passato non torneranno più e si sta solo cercando di mettere in condizione gli imprenditori di fiducia (in particolare uno) di rilevare la società, vendendo nel presente la storia dei giovani lombardi che già ad inizio millennio aveva fatto la sua comparsa. Al di là di questi scenari, bisogna dire che quella su Leonardo è stata una scommessa vinta da Galliani, visto che nove mesi fa l’allenatore più amato da Sky non aveva certo più esperienza di Ciro Ferrara o del Mancini al quale fu affidata la Fiorentina come primo incarico. Insieme ad arbitraggi non ostili ha portato un gruppo di vecchie glorie, alcune di grande classe ma infortunate per metà stagione, ad un quasi scudetto che magari sarebbe diventato scudetto senza un rovinoso ciclo di pareggi casalinghi. Rallentando il gioco e vivendo di fiammate, esattamente come il Milan di Ancelotti, con le non trascurabili differenze di un Kakà ai suoi massimi (tranne l’anno scorso, nei mesi dopo le lacrime dal balcone) e di altri campioni con vari anni di meno. Il resto è il solito teatrino, con la commedia ‘Famiglia Milan’ a beneficio di un pubblico che si ritiene formato solo da dodicenni. In realtà, stando a quelli con il colletto grosso che la sanno sempre lunga (sul conto di sicuro, visto che non lo pagano mai), risulterebbe che: a) Al di là delle critiche riferite dagli immancabili deputati-commensali, Berlusconi non fosse poi così convinto di cambiare allenatore esponendosi al rischio di un fallimento di immagine ancora prima che tecnico; b) Il mandato dato a Galliani, in cambio di un occhio e mezzo chiuso sulle sue operazioni (Mancini quelle più clamorosa, sotto vari punti di vista), è prima di tutto quello di svecchiare la squadra e liberarla da contratti capestro: in questo quadro uno capace di essere duro (nonostante le apparenze) come Leonardo sarebbe stato cento volte meglio di un Van Basten demotivato (e che comunque aveva detto no); c) Nessun allenatore di fama acclarata al di fuore del giro rossonero, da Lippi in giù, metterebbe la faccia per coprire una campagna acquisti modesta e la probabile cessione di Pato; d) I giocatori che fanno la differenza, tranne due veramente bolliti, sono dalla parte di Leonardo. Conclusione: il calcio è gestito in perdita, a qualsiasi livello, al Milan possono arrivare anche insieme Mourinho e Guardiola ma senza un nuovo Berlusconi il terzo posto rimarrà un grandissimo risultato. Leonardo lascia a testa alta, con buona autostima e buona stampa. Il suo addio è da onorare: il 2,18 per la vittoria rossonera contro la tristezza di Zaccheroni ci farà (forse) felici.

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