Economia

BCE e tassi al minimo, l’ultima tentazione di Draghi

Stefano Olivari 04/12/2014

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Il consiglio direttivo della BCE, presieduto da Mario Draghi e riunito a Francoforte, ha deciso di non toccare i tassi di interesse nell’area Euro, che quindi rimarranno praticamente a zero (0,05%). Ma noi e la sciura Maria vorremmo sapere se questi tassi di interesse ai minimi dei minimi si tradurranno in prestiti per le imprese (ci basterebbe che i debitori, un distributore e alcune librerie particolarmente cialtrone, saldassero le fatture entro 3 anni dall’emissione) o per il consumo (abbiamo conosciuto un demente che ha ha ricevuto soldi da una finanziaria per fare l’interno in radica della Golf). La risposta è no, traducendo dal draghese, visto che in conferenza stampa ha tracciato uno scenario prossimo venturo di bassa inflazione (nel 2014 siamo allo 0,5%), di bassa crescita e di alti rischi.

Un amico di Indiscreto, analista per una importante banca d’affari e presto forse nostro editorialista (potete chiedere a lui, noi preferiamo scommettere sul Bolton), sostiene che entro giugno se le piazze esploderanno, in maniera più o meno genuina, Draghi giocherà la carta del cosiddetto quantitative easing. Ci ha anche spiegato perché il crollo nel prezzo di alcune materie prime, petrolio in primis, renderà sicura questa manovra, ma sinceramente non l’abbiamo capito: un petrolio meno caro non dovrebbe favorire i settori produttivi? Roba da Adam Kadmon… Abbiamo invece capito il quantitative easing, che fra non molto dovrebbe diventare un termine familiare agli italiani come lo fu lo spread nella crisi al loden che portò da Berlusconi a Monti. In pratica soldi che la banca centrale butta sul mercato alla cazzo di cane, quando i tradizionali strumenti da politica economica espansiva (traduzione: l’acquisto massiccio di titoli di stato per abbassare i tassi) non riescono a rianimare un paziente morto o che se è vivo preferisce (giustamente) spendere quel poco che ha in coca e mignotte invece di lavorare per uno che non lo paga.

Il meccanismo è chiaro: si acquistano titoli di vario tipo, anche di banche, per allargare la base monetaria e quindi, brutalmente, ‘creare’ soldi. Lo hanno fatto anni addietro con dollaro e sterlina, anche con un certo successo visti gli indicatori USA e UK attuali, non sarebbe uno scandalo farlo con l’euro anche se la posizione ufficiale della Germania sarebbe per il no. Nostra obiezione numero uno, dal bar dell’economia: questi soldi per arrivare a imprese e famiglie sempre dalle banche dovranno passare, non è che li porterebbe Draghi a mano, la tentazione per le banche di lucrare su titoli di stato avendo a disposizione soldi ancora meno ‘cari’ sarebbe fortissima. Conclusione? Il piano Kalergi non ci piace, ma non osiamo pensare a cosa farebbe un’Italia con piena sovranità monetaria. Del resto il paese è pieno di persone, apparentemente normali, che rimpiangono “quando i BOT davano il 15%”.

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