Thiem come Murray, meglio di Lendl

14 Settembre 2020 di Stefano Olivari

Dominic Thiem ha vinto gli U.S. Open 2020 battendo in finale Alexander Zverev, 7-6 al quinto set, e regalandoci, insieme al suo avversario, una di quella rare partite in cui è impossibile cambiare canale anche per un solo minuto. Non perché abbiano giocato il loro miglior tennis, anzi, ma per la tensione da ‘ora o mai più’ che visibilmente li devastava, tipo match femminile, Thiem soprattutto all’inizio e Zverev soprattutto alla fine, quando sarebbe bastato il suo minimo sindacale per battere uno con i crampi.

In realtà l’ora o mai più valeva soprattutto per l’austriaco, che a 27 anni dopo tre finali perse era alla ricerca del primo torneo dello Slam, mentre il ventitreenne tedesco ha più tempo per sfruttare nei prossimi anni la eventuale, eventualissima, morte sportiva di Federer, Nadal e Djokovic. Prima di venire tradito dall’emotività, che ovviamente ha aggredito il servizio, Zverev ha tatticamente giocato la partita giusta, più aggressivo del solito e scendendo anche spesso a rete con grande intelligenza, ma braccio contro braccio Thiem è più forte, secondo noi di tutti, e nei punti decisivi (ce ne sono stati tanti, non solo nel quinto set e non solo nei game di contro-break) ha un’assenza di coscienza che lo pone a volte al livello dei grandissimi.

Ma più che commentare un match che ogni appassionato ha visto, vorremmo dire una cosa: siamo contentissimi per Thiem. Ci ha fatto venire in mente una frase di Franco Casalini a proposito dell’Olimpia Milano anni Ottanta: i suoi successi valevano di più perché venivano ottenuti da giocatori che prima di vincere avevano molto perso, in particolare le finali. Ecco, per Thiem è la stessa cosa e gli scontati paragoni tennistici da storia recente sono con Ivan Lendl ed Andy Murray.

Il ceco-americano vinse il suo primo torneo dello Slam a 24 anni, nel 1984, nella storica finale del Roland Garros contro McEnroe, anche in questo caso da due set sotto, dopo avere perso le sue prime quattro finali dei major ed essersi quindi guadagnato la fama di perdente (non è che giornalisti e tifosi di una volta fossero più intelligenti). Anche Murray, non a caso guidato nel suo periodo magico da Lendl, vinse il suo primo Slam (U.S. Open 2012, finale contro Djokovic) dopo quattro finali perse, lui a 25 anni.

In realtà il paragone con Lendl è forzatissimo, per una ragione molto semplice: nelle sue prime quattro finali Lendl era sulla carta sfavorito soltanto contro Borg, per quanto un Borg stanco e già con la testa altrove, al Roland Garros, mentre nelle sue due con Connors trentenne agli U.S. Open sembrava più forte, per non dire della finale contro Wilander in Australia, su un’erba che dominava meglio dello svedese (infatti sarebbe arrivato due volte in finale a Wimbledon). Murray invece era più in una situazione alla Thiem: bravissimo, poco da dirgli se non tatticamente (e Lendl glielo disse), ma lui per primo era ed è cosciente di essere in un girone diverso da Nadal, suo giustiziere in due finali parigine, e Djokovic, che quest’anno lo aveva battuto di un niente a Melbourne.

A dirla tutta, visto che amiamo il bar, se Nadal fosse andato a New York e se Djokovic non avesse fatto quella stupidaggine, al 99% il titolo non sarebbe nemmeno questa volta sfuggito a uno di loro due: sempre più vecchi, come è ovvio, ma con il cervello dei campionissimi: cosa che Thiem, per cui peraltro tifiamo, e Zverev non saranno mai.

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