Xi Jinping, Zhang e le terre rare

21 Marzo 2019 di Stefano Olivari

Il presidente cinese Xi Jinping arriva in Italia e non sono annunciate manifestazioni contro di lui da parte di liceali o anche italiani più grandi: la temperatura aumentata di 0,8 gradi nell’arco di 150 anni evidentemente preoccupa di più di una dittatura che non si limita ad opprimere la gente in patria ma ha mire imperialistiche che riguardano anche l’Italia. Ben contenta, non solo nella sua parte a Cinque Stelle (la retorica sui mercati è trasversale), di vendersi per finanziare qualche milione di fancazzisti. Xi Jinping si presenterà con decine di politici e di grandi imprenditori cinesi, tutti legati a triplo filo al Partito: fra questi anche Zhang Jindong, il signor Suning, alla ricerca di opportunità migliori rispetto a una plusvalenza su Icardi (ovviamente pochi interisti sono preoccupati per la proprietà cinese, ma non apriamo troppe parentesi). Oggi comunque non volevamo parlare di politica in senso stretto, ma di un tema che ci ossessiona da un paio di mesi e che è diventato concreto qualche giorno fa quando abbiamo confessato ad un amico la nostra intenzione di acquistare un ETF sulle cosiddette ‘Terre rare’ e lui ci ha risposto che aveva già avuto la stessa idea. Ma cosa sono le terre rare?

Torniamo ad una chimica malissimo studiata 35 anni fa, anche lì fummo salvati da un 6 politico, e alla tavola periodica di Mendeleev, che ovviamente non ricordavamo a memoria e abbiamo quindi recuperato sul web. Le terre rare altro non sono che 17 elementi della tavola periodica: scandio, ittrio e i 15 lantanoidi. Sono definite ‘Rare earth elements’ non perché siano rare in natura, anzi è vero il contrario, ma perché l’attività estrattiva è difficile, costosissima e possibile soltanto con economie di scala molto alte, senza contare l’impatto ambientale devastante. Veniamo al punto: circa l’80% della produzione-estrazione mondiale di questi 17 elementi avviene in Cina, secondo un’intuizione geniale avuta da Deng Xiaping all’inizio degli anni Novanta. Non facciamo però scattare il ‘Chi se ne frega?’ prima del nostro colloquio orientativo con il navigator, perché i lantanoidi sono la base dell’industria tecnologica odierna, per le loro caratteristiche praticamente insostituibili (la più evidente è la luminescenza, ma la più importante è forse la conduzione di energia). Abbiamo detto odierna, ma banalmente senza i lantanoidi non avremmo mai avuto la televisione a colori, il lancio di satelliti, i sistemi di controllo degli aerei, l’automazione industriale degli ultimi decenni e tanto altro che nemmeno immaginiamo.

Qual è dunque il problema? Il primo è l’estrazione, come detto, che per il suo impatto ambientale è possibile solo in paesi al tempo stesso avanzati tecnologicamente ma politicamente dittatoriali, quindi in grado di imporre alla popolazione qualsiasi porcheria. Il secondo è politico: siamo schiacciati fra chi gestisce i nostri dati, fondamentalmente aziende americane (Google, Facebook, Amazon, eccetera) e chi in concreto permette al nostro mondo di funzionare (materie prime estratte in Cina e oggetti prodotti prevalentemente in Cina), con il secondo gruppo destinato ad assumere sempre più una posizione di forza visto che il software si può copiare ma le materie prime non si possono inventare. L’Occidente e la modesta Italia dovrebbero avere una politica industriale seria, invece di rassegnarsi ad essere un posto di servizi e turismo. Ma è difficile farlo capire a chi scende in piazza per cento ulivi e non contro la schiavitù.

Share this article