Porto-Roma, Di Francesco alla fine e De Rossi all’inizio

5 Marzo 2019 di Stefano Olivari

Porto-Roma potrebbe essere l’ultima partita sulla panchina della giallorossa per Eusebio Di Francesco, l’ennesimo allenatore della Roma a passare attraverso il seguente percorso: arrivo con la fama di tecnico da progetto, esaltazione dei suoi metodi con denigrazione di quelli del predecessore (si lavora con la palla, è tornato il sorriso, tutti si sentono coinvolti, e via cialtroneggiando), trionfo stile Pompeo (ci sta, dopo una semifinale di Champions League), giustificazione dei risultati negativi con una indefinibile ‘ricerca del bel gioco’, malcontento degli esclusi e dei vecchi, graticola ed esonero. Detto che l’esonero non è una peculiarità romanista, alcuni dei passaggi intermedi hanno però un’intensità riscontrabile soltanto a Trigoria e dintorni. Garcia era più bravo di Zeman, Spalletti era più bravo di Garcia, ovviamente Di Francesco era più bravo di Spalletti. Il prossimo allenatore dovrebbe essere quindi un misto di Happel e Michels…

Veniamo al dunque, cioè a un Paulo Sousa che potrebbe essere in tribuna ad Oporto (ma speriamo di no, per la decenza), in attesa di diventare successore di Di Francesco in caso di eliminazione anche se in società la linea del traghettatore puro non dispiace. Ma chi prende queste decisioni tecniche alla Roma? Non Monchi, che si è legato, anzi legatissimo, a Di Francesco ma soprattutto ed è convinto di essere perseguitato dai media, che sottolineano più i suoi disastri (come definire Pastore, fra l’altro anche in lite con l’allenatore?) che i colpi alla Zaniolo, che lui per primo ha onestamente definito fortunato (all’Inter in alternativa aveva chiesto Radu), in mezzo a tante cessioni di giocatori presi da Sabatini. Lo si potrebbe vedere presto all’Arsenal con l’amico Emery, con una successione da giocarsi fra il favorito e già nei quadri Ricky Massara (quindi un ritorno del mondo sabatiniano) e i direttori sportivi che fra qualche mese potrebbero essere disoccupati. Su vari giornali abbiamo letto la voce di Ausilio, copiamo umilmente.

Ma torniamo alla domanda: chi deciderà alla Roma l’esonero di Di Francesco e il nome del suo successore? Di certo non Baldissoni e Fienga, meno che mai Totti che, nel complicato gioco delle simpatie, è adesso monchiano (senza però dimenticare che fu Monchi a indicargli la porta d’uscita dal campo). Sousa è da tempo un’idea di Franco Baldini, gran consigliere di Pallotta ma residente a Londra, che segue le vicende della squadra per interposta persona e che avrebbe voluto il portoghese sulla panchina giallorossa già da tempo. Pallotta non sa bene la differenza fra Sousa, Trapattoni, Van Gaal e Capuano, ma un’idea chiara ce l’ha: non si dovrebbe ipotecare il futuro della panchina senza avere prima nominato il successore di Monchi o, al limite, riconfermato Monchi stesso (nostra previsione: difficilissimo). Situazione interessante, un collega più informato di noi (ma ci vuole poco) ha paragonato le decisioni della Roma a quelle della piattaforma Rousseau: un’entità lontana e con algoritmi incomprensibili (o nessun algoritmo), in questo caso addirittura dall’estero invece che a Milano, che analizza le partite in televisione e detta la linea. Solo che non sembra esserci alcuna linea e così raccogliamo voci dal basso, come quelle che danno Daniele De Rossi come primo tifoso di Di Francesco: non perché sia innamorato del suo 4-3-3 (è anzi il principale sponsor del 4-2-3-1 e in campo non manca di far notare certi errori), ma perché a 36 anni è umano che culli il sogno di essere il suo successore, soprattutto con un contratto che scade a giugno e il corpo che dice ‘Basta’. Dopo tanti discorsi sull’allenatore in campo, il momento di fare l’allenatore della Roma sul serio. Meglio quindi che Di Francesco tenga duro, chiudendo con dignità la stagione: a giugno si può rimescolare tutto.

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