Pernigotti in Turchia e la fuga dei borghesi

7 Novembre 2018 di Indiscreto

La Pernigotti non era più italiana da qualche anno, da quando il Gruppo Averna (proprio quello dell’Amaro, che ora fa parte di Campari) nel 2013 la vendette ai turchi Toksoz (sono due fratelli, Zafer e Ahmet), che dopo avere gradualmente spostato produzioni e know-how in Turchia adesso hanno annunciato un centinaio di licenziamenti che di fatto renderà un fantasma la storica fabbrica di Novi Ligure. Uno schema classico, soprattutto per aziende con più tecnologia di quelle dolciarie. Dal punto di vista del consumatore i gianduiotti, regalo da ospedale per eccellenza, e il marchio non sono in pericolo, è soltanto che la produzione non avverrà più in Piemonte e che gli operai piemontesi dovranno cercare un altro lavoro (non facile, nella desertificazione industriale della zona) o sopravvivere fino a quando saranno ritenuti degni del reddito di cittadinanza. Ma non temete, non è il solito pistolotto contro la globalizzazione cattiva.

Perché di solito quando qualcuno compra c’è sempre qualcun altro disposto a vendere e non è colpa di Di Maio (o di Berlusconi, o di Prodi, o di Renzi) se a un certo punto i padroni delle aziende vogliono monetizzare perché non hanno eredi (fu così negli anni Novanta per Stefano Pernigotti), perché ne hanno troppi o, questo il caso più comune non solo in Italia, si vuole monetizzare per poi andare in pensione in qualche triste cantone svizzero, nella ridicola Monte Carlo o in un’isoletta dei Caraibi per farsi fregare i soldi da qualche donna locale e dal suo finto fratello. Magari lamentandosi dell’Italia cattiva che impone troppe regole a chi fa impresa, vuoi mettere l’efficienza della Cina?

Insomma, invece di rimpiangere l’Italia di Carosello sarebbe bene che nelle scuole e soprattutto in tante famiglie italiane borghesi non si considerasse il denaro qualcosa di demoniaco o il lavoro ‘normale’ qualcosa di noioso, da cui fuggire alla ricerca della propria realizzazione, magari come stagista con la mano del tutor sul culo. O magari creando un museo dell’industria, o forse organizzando eventi sulla storia del gianduiotto dove prima si producevano gianduiotti. Alla fine si possono anche scrivere articolesse sui turchi, francesi, cinesi, eccetera cattivi che ci comprano, ma in generale si può fare poco contro vecchi stanchi con figli tossici o demotivati che ci vendono. Non è il caso dei ‘veri’ Pernigotti, visto che nel 1980 i due figli di Stefano Pernigotti morirono adolescenti, 13 e 17 anni, in un incidente stradale, ma è quello di tre quarti delle aziende familiari. Per fortuna esistono ancora imprenditori veri, ma i giovani borghesi di destra e di sinistra non li apprezzano: dispiace dirlo, ma avrebbero bisogno di una guerra.

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