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Gomorra 3, non dovevano ammazzarci Ciro

Indiscreto 02/01/2018

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Fuori tempo massimo abbiamo terminato di vedere su Sky la terza stagione di Gomorra, recuperando gli arretrati con un binge watching che fa riflettere sulla crisi dell’Occidente o, più modestamente, sulla nostra assenza di vita sociale. Ne scriviamo il giorno dopo avere visto Marco D’Amore fra i protagonisti della serata di Rai Uno dedicata alla danza, una specie di Roberto Bolle & Friends che ha fatto storcere il naso ai puristi della parrocchietta ma che di sicuro ha fatto del bene alla diffusione della danza: nessun bambino privo di pay-tv chiederebbe di giocare a tennis, non avendo quasi mai visto Federer e Nadal. Ecco, vedere Ciro Di Marzio parlare in italiano, con tutto che noi Gomorra lo seguiamo con i sottotitoli, ci ha steso almeno al pari della morte di Ciro stesso, per mano di un Genny Savastano costretto dalle circostanze a mettere fine all’esistenza dell’ex luogotenente del padre Pietro (fra le altre cose ammazzato da Ciro alla fine della seconda stagione, con l’assenso di Genny… del resto Ciro aveva fatto fuori anche donna Imma, moglie del vecchio boss e madre di Genny), ex suo maestro di camorra, ex nemico mortale e ed infine amico-alleato pieno di tormenti interiori.

La stiamo tirando in lungo per non dire con dolore (rimane pur sempre una delle poche fiction italiane guardabili) che la terza stagione di Gomorra è stata ai confini del ridicolo, con personaggi improponibili a Napoli come a Göteborg, a Siviglia come a Pechino. Cosa può essere passato per la mente di Saviano o degli altri autori quando hanno pensato alla figura di Enzo ‘Sangue Blu’, il camorrista perbene (per gli standard di un camorrista) con barba in certe puntate da hipster e in altre da De Rossi-Casa Pound? Personaggio centrale della stagione, anche lui come Genny soggiogato dal carisma di Ciro. Solo il suo amico Valerio lo supera, come livello di improbabilità. E vogliamo parlare di tutti i boss, da Scianel a O’Stregone, che si muovono senza scorta facendo ovviamente una brutta fine? L’unica puntata con un po’ di cuore e di senso è stata quella di Ciro in Bulgaria, poi è stata tutta una rimasticatura con i difetti delle prime due stagioni (la politica quasi inesistente, come se la camorra fosse soltanto una questione militare) e nessuno dei pregi, a partire dai personaggi monumento. I fratelli Capaccio messi insieme non valgono un’unghia di Salvatore Conte, altro uomo tormentato.

La serie è ormai un brand di successo internazionale, oltre i livelli della Piovra, e di sicuro ci sarà un’altra stagione. Però con questo schema ha già detto tutto. E la morte di Ciro potrà anche essere una scelta artistica, per non venire incontro allo spettatore medio (uno degli autori ha questa teoria), ma rimane il fatto che ha privato Gomorra di un personaggio fortissimo senza il quale la trama sarà obbligata ad andare al di là di napoletani che si sparano e si incontrano nei sotterranei delle chiese. Non puoi mostrare Napoli come se fosse Beirut e poi dimenticarti, anche se è fiction, che esisterebbero un prefetto, un questore, un sindaco, duemila altri politici o magistrati. La sensazione è che per l’estero si sarebbe potuto mettere di tutto, ma in Italia in linea con la filosofia (anche nello sport) di Sky si sono soprattutto volute evitare rogne.

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