Le Essenze Jazz di Eduardo De Crescenzo
Il Jazz, o perlomeno il suo tipico sound e incedere musicale, sta prendendo sempre più piede nelle produzioni dei cantautori italiani. Lo scorso anno
ne avevamo parlato già con Nino Buonocore, da anni ormai impegnato su questo fronte, e
più di recente con Goran Kuzminac, anch’egli fresco di nuovo album. Un terzo nome importante che ha deciso di sposare tale approccio di stile facendolo totalmente suo è
Eduardo De Crescenzo che, a scanso di equivoci, ha appunto intitolato il suo ultimo disco
Essenze Jazz, dove rivista alcuni suoi brani del passato. Esponente della migliore tradizione moderna napoletana, ed esploso nel 1981 con la celebre
Ancora alla quale è poi rimasto inesorabilmente legato nella memoria del pubblico, De Crescenzo ha nel tempo caratterizzato la sua carriera grazie a una vocalità e un sound ricercato e pulito, del quale è stato attore in primo piano. La sua è del resto una storia importante, che si può suddividere in due fasi perlomeno se la analizziamo da Ancora in poi. La prima, quella in cui rientra il celebra brano firmato da Franco Migliacci e Claudio Mattone, e altri successi come
Al piano bar di Susy o Mani, Amico che voli o Il racconto della sera. Canzoni che se da un lato mettevano da subito in luce il suo valore di interprete davanti alle telecamere, dietro le quinte rappresentavano anche il suo aspetto di musicista messo poi totalmente in luce nei concerti. Del 1 è la svolta di
E la musica va, canzone presentata a Sanremo imbracciando l’amata fisarmonica, e contenuta nell’album
Cante Jondo, dove De Crescenzo si lasciava andare sul palco finalmente a 360 gradi. Il successivo
Danza Danza proseguì il discorso da lì cominciato e diede il là anche a una attività dal vivo che si è protratta con successo in tutti questi anni e testimoniata da album live. Dimensione che compie un salto ulteriore in Essenze Jazz, dal quale emerge un sound molto concreto e variato, aperto dall’inedito Non tardare, una canzone che nel suo incedere ricorda quello di un treno e che sprona sostanzialmente a non stare a pensarci troppo su quando si parla di volere bene e di esprimerlo. Da lì De Crescenzo parte in compagnia dei musicisti per un un viaggio nella memoria di alcune sue grandi canzoni, donandole una nuova veste rispetto a quella originale pur mantenendone giustamente inalterato l’andamento migliore. Si riscoprono quindi pezzi famosi come
Quando l’amore se ne va e
Sarà così, tra i più intensi del suo repertorio, o le ‘sanremesi’ L’odore del mare e la già citata E la musica, fino a quella
Dove c’è il mare che diede il titolo al bel disco uscito nel 1985. Da quest’ultimo è stata ripescata anche Dove, una piccola chicca al pari di La vita è questa vita e di
Foglia di thè (album Nudi, di due anni dopo) qui ben ritrovata, spogliata della chitarra e rivestita del pianoforte, a riprova di un album pensato e non inteso come semplice pigro greatest hits. Da C’è il sole (1989) è stata invece ripresa
Il racconto della sera, mentre La vita è un’altra, Parole nuove e Naviganti sono più recenti (2002). Un’ultima citazione la riserviamo per
Il treno: brano del 1981, che può essere considerato come una sorta di manifesto ricorrente del viaggio di Eduardo De Crescenzo, artista nato non a caso nel quartiere Ferrovia di Napoli, dove qualche anno fa tenne anche un concerto poi pubblicato in DVD.
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