La patente, Totò e la domanda dello iettatore
Totò moriva 50 anni e tre giorni fa. Di lui abbiamo già scritto altre volte su Indiscreto e in questi giorni se n’è parlato un po’ ovunque, tra suoi film, ricordi e commenti. Eppure qualcosa da dire la trovi sempre, su quello che è da considerarsi l’attore comico per eccellenza, tra stile, risata e dramma. La palla allora la afferriamo al balzo per parlare dell’episodio
La patente, tratto dal film
Questa è la vita (del 1954, basato su quattro novelle di Pirandello), in cui il principe De Curtis interpreta lo iettatore Rosario Chiarchiaro, che decide di farsi certificare la sua qualità (sostenuta dai compaesani) per poter dare una vita migliore alla sua famiglia. Con tanto di tariffario per non influire negativamente in posti e situazioni. Non ne scriviamo per dare un giudizio sul film e il particolare episodio, ma per evidenziare come Totò ancor prima che un grande comico e interprete della battaglia verbale (con la sua vittima preferita
Peppino De Filippo, o il pari avversario
Aldo Fabrizi), poteva anche solo servendosi della mimica dare potenza a un personaggio. E qui non stiamo parlando della marionetta, ma dell’uomo che drammaticamente fa di necessità virtù, o ribaltando il concetto, di virtù certificata la soluzione al problema. Un personaggio desolato, più vicino al ferroviere Antonio La Quaglia di
Destinazione Piovarolo o al portiere Antonio Bonocore di
La banda degli onesti, che al pirotecnico musicista Antonio Scannagatti di
Totò a colori o allo scarpettiano Felice Sciosciammocca, più volte portato in celluloide. Nella sostanza uno dei due volti del Totò attore, quello che ti fa pensare e riflettere più che reagire e scompisciarti dalle risate. E che in
La patente fa alla figlia maggiore (e a sé stesso) una domanda decisiva e inesorabile, e la cui risposta resta ancora in sospeso: “Chi sarebbe la gente buona?”