Iva Zanicchi, la più sottovalutata dagli italiani
Si può affermare che
Iva Zanicchi sia stata una delle prime se non la prima blues/soul singer italiana? Gli abbonati al treno del sarcasmo magari sorrideranno pensando a
Ok il prezzo è giusto o alla sua avventura politica in Europa (sulla quale bisognerebbe prima sapere le attività svolte), o sfodereranno commenti pruriginosi pensando al servizio su Playboy con tanto di album omonimo del 1979, ma la risposta può essere certamente sì. L’aquila di Ligonchio, come era stata soprannominata quando dominava la scena insieme alla Pantera di Goro (Milva) e alla Tigre di Cremona (Mina), non ha mai nascosto il suo amore per un certo tipo di musica tanto che il suo primo vero successo,
Come ti vorrei, non era altro che una cover del brano
Cry to me lanciato da
Solomon Burke e reso tra l’altro possibilmente più nero nella versione italiana. Erano i primi anni Sessanta, un periodo di rivoluzioni musicali che ci siamo poi portati dietro, e Iva Zanicchi stava cominciando a proporsi al pubblico in modo non allineato rispetto al modello di canzone italiana standard.
A guardare (e ascoltare) la sua discografia a cavallo con il decennio successivo ci si accorge infatti di come l’attenzione a un repertorio certamente difficile per le orecchie commerciali abbia fatto da modello nelle scelte dell’interprete pur non lasciando fuori la melodia più classica (si pensi a
La notte dell’addio o
I colori di dicembre), ma mettendo in primo piano contemporaneamente una ricerca alternativa. Arrivati dopo l’album di cover
Unchained Melody (con la nota title track che diventa
Senza catene) e il trionfo di
Zingara, progetti come
Caro Theodorakis (contenente
Un f
iume amaro e frutto della collaborazione con l’autore greco) o
Caro Aznavour (con brani del cantautore francese), nonché la raccolta ebraica
Shalom, rappresentano una dimostrazione ulteriore della volontà di non legarsi a stereotipi, forte anche di una vocalità particolarmente espressiva e di un impegno che vide in
Io sarò la tua idea (ispirato dalle opere di Federico García Lorca) un altro episodio decisivo sempre pubblicato dalla sua etichetta Ri-Fi, alla quale apparteneva anche
Franco Simone da noi intervistato qualche tempo fa, e che non a caso era concessionaria per la Motown Records. Se certamente oltre ad alcune di quelle già citate le canzoni più note di Iva Zanicchi restano
Testarda io,
La riva bianca la riva nera (sul tema della guerra),
Non pensare a me (una delle sue tre vittorie sanremesi) tutte di un periodo in cui arriva anche ai vertici delle classifiche latino-americane e lavora assiduamente in teatro, dell’interprete emiliana non si possono non ricordare anche
Le montagne (ci amiamo troppo) cover di
River deep mountain high di
Ike & Tina Turner, l’incursione nella disco music di
Jezabel, e il passaggio al pop verso la fine degli anni Settanta e quindi in quelli Ottanta con brani come
Ardente, Aria di luna, Kajal e
Chi mi darà (Sanremo 1984), secondo noi una delle cose migliori del periodo. Da lì a poco tanta televisione e purtroppo meno musica, e un ritorno negli anni 2000 a Sanremo sempre con in testa un’idea discografica non semplice, con
Fossi un tango e
Ti voglio senza amore, brano all’epoca preso di mira da Roberto Benigni per il suo contenuto.
Paolo Morati, in esclusiva per Indiscreto