Iperrealismo in musica: intervista a Sergio Caputo

28 Marzo 2014 di Paolo Morati

Sergio Caputo

Dopo aver letto e recensito il libro di Sergio Caputo ‘Un sabato Italiano'(Memories)’ e aver ascoltato la nuova (bella) versione dell’omonimo album uscito 30 anni fa, completamente risuonato e cantato, abbiamo avuto l’occasione di fare qualche domanda al cantautore e musicista romano. Qui di seguito alcuni spunti, prima di approfittarne per fare (anche) un po’ di musica…

Ascoltando la nuova versione di Un sabato italiano emerge subito il fatto che, a differenza di altre operazioni di questo tipo, non si è cercato di stravolgere il concetto originale, ma piuttosto di arricchirlo, rivestirlo e dargli anche una patina live. Come nasce questo progetto e quali sono state le linee guida che hanno portato alla sua realizzazione?

Negli anni Ottanta andavano di moda dei suoni elettronici che sono rapidamente invecchiati, al punto che da molti anni io stesso non riuscivo ad ascoltare il mio album più famoso. Il trentennale è stata una buona occasione per rimediare a questo problema artistico e stilistico. Ho quindi rifatto l’album attenendomi alle strutture originali dei brani come li avevo scritti, ma usando tutti suoni veri. Anche le registrazioni sono avvenute in modo realistico, in studio con tutta la band, e abbiamo suonato in diretta finché il risultato non fosse soddisfacente

Lei dichiara che all’inizio della sua carriera di cantante uno degli spunti che l’hanno sollecitata a scrivere testi è che certe canzoni italiane che si sentivano in radio non somigliavano alla vita vissuta. Può spiegare meglio questo concetto e a che cosa si riferiva in particolare?

Il linguaggio delle canzoni italiane era un linguaggio datato e stereotipato che non rispecchiava il modo in cui si parla e si pensa veramente. La mia ispirazione letteraria invece si rifaceva a scrittori e poeti americani “iperrealisti” come Miller, Mailer, Corso, e le correnti beat. Era naturale che approcciassi la scrittura delle canzoni con quello spirito, piuttosto che seguendo strutture “alla Giovanni Pascoli”, per così dire.

Ripercorrendo la sua discografia si nota come abbia cercato sia in termini di storie così come di stile musicale di non ripetersi, pur mantenendo comunque ben al centro la barra di un sound legato a riferimenti di genere ben precisi. Si può dire che il nuovo disco chiuda sostanzialmente un cerchio iniziato 30 anni fa e quali sono i suoi futuri progetti?

Sì, si può dire. Ora sto lavorando su pezzi con un respiro più ampio tali da mantenere le radici nel pop-jazz che mi ha sempre caratterizzato, sono vicini alla musica che ascolto oggi più volentieri – anche se quando scrivo non lo faccio in modo programmatico.

La chitarra è il suo strumento prediletto, con cui ha avuto anche un rapporto inizialmente conflittuale. Come si è trasformata questa relazione fino ai giorni nostri, tanto da arrivare a realizzare anche un album smooth jazz, strumentale, che ha ottenuto un certo riscontro negli Stati Uniti?

Ciò è accaduto per due motivi: il primo, che negli USA non ero certo di poter adeguatamente trasporre le mie tematiche in un linguaggio diverso dall’italiano. Il secondo, che – contrariamente all’Italia – dove uno che si fregi del titolo di “chitarrista” è uno che esegue sullo strumento virtuosismi atti a mostrare la sua bravura tecnica – negli USA , dove di virtuosi ce ne sono a centinaia a suonare nella metropolitana, un musicista deve anche “dire qualcosa”. Io ho semplicemente trasposto le mie melodie sulla chitarra e le ho suonate con passione – e ciò è stato molto apprezzato, perché non suonavo scale, suonavo melodie.

Ci parli quindi della sua esperienza americana. Cosa l’ha portata a un certo punto a trasferirsi in California e quali sono state le sue esperienze artistiche oltreoceano? Gli USA sono veramente così diversi dall’Italia quando si tratta di fare musica, e non solo?

Questa è difficile. Dirò che gli USA sono un altro pianeta, in tutti i sensi. Magari ne parlerò in un libro, ma qui è impossibile.

Il capitolo ‘Anni 70 Anni 80’ delle sue ‘memories’ contiene considerazioni alternative rispetto alla posizione dominante. Diversi sono gli appunti che fa ai Settanta, sia dal punto di vista sociale che musicale, rivalutando il decennio successivo dove si poteva tornare a sorridere. Può riassumere quello che è il suo pensiero sul tema?

Lo faccio già nel libro. E ciò che scopriamo giorno dopo giorno della nostra storia recente sembra darmi ragione, dimostrando che di essa non sappiamo assolutamente nulla, e che tutto è stato pilotato. E allora perché accettare le versioni ufficiali se sappiamo che sono basate su fatti distorti e oscurati?

Come giudica la situazione italiana in generale dal punto di vista culturale e sociale?

Nel nostro Paese ci sono forze all’opera – non necessariamente tutte nostrane – che ci impediscono di fare passi avanti e di avere una vera democrazia.

Com è oggi il suo rapporto con la notte, da ex libertino e ‘animale’ notturno?

Dopo un infarto scampato, con due bimbi piccoli, e una moglie adorabile, da cui non mi separo mai, la mia idea di notte è molto cambiata – sia che siamo a casa o in tour voglio stare con loro il più possibile.

Nel libro elenca una serie di locali che hanno fatto da palcoscenico alle sue scorribande con gli amici. Che cosa è cambiato rispetto ad allora quando si parla di luoghi di ritrovo e divertimento, e come valuta i ragazzi (e le opportunità) di oggi?

Oggi i ragazzi escono fino a tardi ad una età che ai miei tempi era impensabile… Io ho iniziato ad andare in giro di notte solo quando ritenevo di essere in grado di difendermi dalle insidie che presenta una metropoli (e spesso mi sono salvato per miracolo). Direi che tutto è cambiato.

La creatività ha fatto parte della sua esperienza professionale in un momento storico in cui si lavorava ancora molto sui media tradizionali per fare promozione. Oggi l’online ha accelerato e misurato tutto, e si è costretti a lavorare in finestre sempre più strette e controllate. Crede che ci sia ancora tempo per dare spazio e soprattutto tempo alla fantasia, nella musica così come nella comunicazione in generale?

Non solo si può dare spazio alla fantasia, ma bisogna farlo per salvarci.

Di recente abbiamo lanciato un sondaggio in cui scegliere tra Roma e Milano. Lei è nato nella Capitale ma si è poi trasferito nel capoluogo lombardo. Dovendo dire da quale parte stare quale sceglierebbe e perché? E quali sono le differenze sostanziali tra queste due città?

Intanto, vorrei vivere in una città amministrata bene, il che oggi non si può dire né per Roma né per Milano. Milano rispetto a Roma ha il vantaggio di non avere i ministeri, il Governo, il Vaticano e i turisti ad intasare le strade ogni giorno, ed è in qualche modo più vivibile di Roma. Detto ciò, io sono un romano verace.

Un’ultima domanda la riserviamo a un brano che inevitabilmente non è raccontato nella biografia per ragioni temporali ma che è rimasto scolpito nella nostra memoria come un macigno: Il Garibaldi innamorato. Quali sono state le fasi che hanno portato a scrivere una storia, comporre una musica e quindi realizzare una canzone di questo genere? E , in generale, lei scrive prima musica o parole?

Sempre prima la musica. E infatti, avevo scritto questo brano latino, ma non volevo metterci sopra un testo “imitazione latino”. Quindi ho cercato una storia italiana ambientata in Sud America. Chi meglio di Garibaldi?

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