Un sabato italiano

25 Febbraio 2014 di Paolo Morati

Un sabato italiano

Fin dalle prime righe sembra di trovarsi dentro a una canzone. E ci si chiede come saranno il ritmo, la melodia e l’andamento in generale. Lo stile di scrittura di Sergio Caputo, che ha pubblicato le sue memories nel libro Un sabato italiano (edito da Mondadori), del resto è quello e non si scappa. Per fortuna, aggiungiamo noi, considerata la abile capacità di analisi e racconto che da sempre contraddistingue l’opera del romano per un certo tempo emigrato negli Stati Uniti e ora ritornato alla base. Una biografia circoscritta a un dato periodo storico e uscita per festeggiare il trentennale dell’omonimo album, del quale ne è anche stata realizzata una nuova versione, e che, tra aneddoti, personaggi e corsivi snocciola una storia varia e variabile, quella del Sergio Caputo prima e verso il successo, trasformandosi inaspettatamente da “persuasore occulto a prodotto di mercato”.

Ci sarebbe tanto da dire su un libro che, raccontato in diretta con la testa di allora, narra la vita (soprattutto notturna) del Caputo degli inizi, quello che si ritrova catapultato a lavorare in una delle più importanti agenzie pubblicitarie al mondo come art-director, che divide un appartamento con personaggi bizzarri e un cane psicopatico, e che passa da una ragazza all’altra come il migliore dei libertini. E intanto – tra le preoccupazioni della madre e incontri con personaggi più o meno famosi – imbraccia, abbandona e poi riabbraccia la chitarra, racconta dei suoi riferimenti musicali e delle varie esperienze, senza nascondersi dietro a un dito, magari quello schiacciato da una saracinesca quando aveva cinque anni. Ma Un sabato italiano è soprattutto il dietro le quinte di uno spicchio di vita e di Luna che ha portato alla realizzazione di un album ‘alla swing’, più che bello, ancora attuale nella sua nuova forma così come in quella originale, che lanciò un autore eclettico e soprattutto rimasto sempre fedele ai suoi gusti. Cosa non facile in un mondo dove spesso si rincorrono per evidenti motivi quelli del pubblico.

In oltre 280 pagine si dipana quindi una biografia divertente e pirotecnica che abbiamo letto tutta di un fiato, divorandola come un piatto di bucatini all’amatriciana fatto coi sacri crismi e che se per noi non romani è risultata interessantissima, lo sarà ancora di più per chi ha realmente vissuto quei quartieri. Tanti infatti i luoghi citati, i locali, le scorribande con gli amici più stretti, i travestimenti (su tutte la comparsata in un locale con addosso le tute da benzinaio e il ritiro al cinema della ‘fidanzata’ in stile Blues Brothers, suoi veri miti), le discussioni (da teatro quella sulla analista di una delle sue tante compagne di letto), gli incidenti domestici (si finisce per trepidare anche per l’arrosto abbandonato in forno), nonché le gite extraterritoriali a Genova, in Piemonte e Milano, dove oltre il libro finirà per trasferirsi. E naturalmente la musica. Molta e importante, ma che non invade mai la storia restando semplice co-protagonista sullo sfondo, e alla quale Caputo dedica anche alcuni degli interessanti corsivi che inframmezzano i vari capitoli. Alla fine della lettura non si può che augurare Bon Voyage e… appuntamento a Le Cornacchie.

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