Zanetti e le scimmie

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Oscar Eleni da Forlimpopoli per ritrovare la ricetta artusiana sul flan di ceci da girare al nero di seppia di casa Lorenzo, per scoprire che il Passator Cortese, quel maiale del Pelloni che mandò  in manicomio la sorella di Pellegrino e ispirava poeti a cottimo, la disperata Gertrude che aveva perso il senno dopo essere stata stuprata, assomiglia tanto, nell’immaginario collettivo, ai personaggi che adesso ce la contano su per un basket che possa uscire dalle catacombe dove lo hanno portato i figli illegittimi del nuovo cesto. Siamo nella settimana dei grandi dubbi. Eh sì, se uno è convinto che l’allenatore conta più di tutti, non della società, ma di tutti quelli che girano intorno al club, allora per questo turno di eurolega deve farsi legare al palo della tortura per ricevere in faccia tutte le uova fradicie che si trovano ai supermercati. Non avevamo mai visto cadere tutti insieme uomini che per noi erano condottieri da giro del mondo in ottanta giorni, guadagnandoci anche tempo. Messina ridicolizzato dal Barcellona a casa sua. Ha chiesto scusa, attento a non dover chiedere un supplemento di scorta. Pianigiani mangiato vivo, parole del lupo, dal Trinchieri tanto odiato nella Balaclava di Desio. Dice che Cantù ha infierito appena ha capito. Bene. Lui, però, cosa ha capito del Fener che le aveva  prese sode anche dal Real Madrid? Non ci dica che di Minucci e Meneghin sono improponibili le copie quando mandano in mare le scialuppe per salvare l’allenatore  mal visto. Scariolo bicampeon europeo, argento olimpico, finalista in tutti i mondi possibili, come ci ricordano le note media di casa Olimpia, salta il fuoco di Siena e poi si spiaccica al suolo, nell’aria triste del Forum di Assago, scoprendo che Spanoulis non è contemplato dai progetti difensivi in divenire, maestro del cantiere che allunga i tempi di consegna molto più degli appaltatori statali, di chi sta meditando sul palazzo di Cantù, la linea 5 del metrò a Milano, del nuovo libro sul come si costruisce una grande società, partendo da zero, avendo come sciolina molti milioni di euro, mandando a quel paese quel romanticone di Javier Zanetti, capitano dell’Inter, premio Facchetti, uomo straordinario, nel campo e fuori, che alla fine dell’intervista con il figlio di Giacinto per Sportweek dice testualmente al colto, all’inclita e alle scimmie nasone: ”Una società dovrebbe avere nei ruoli cruciali persone che rappresentino la sua storia, figure capaci di trasmettere attaccamento e senso di appartenenza…..”. Ma dai Zanetti, vuoi insegnare ai nuovi scià come si  sbuccia una mela anche se hanno in mano una zucca? Andiamo avanti con le cadute dei supercervelli, di quelli che pensavamo contassero tanto davvero. Vusojevic non vince più una partita anche a casa sua dove il muro Partizan è diventato cartapesta. Dusko Ivanovic, a parte la tisana del Forum, va a prendere legnate in giro per l’Europa e anche in casa con il Basconia che fra un  po’ dovrà abdicare al nome originario di Vitoria. Certo che ci erano capitate cose del genere in passato: con Rubini quando, però, si sentiva già vecchio e non più in sintonia con giocatori che portati a spasso per Parigi dormivano o guardavano il telefonino, con Tanjevic quando insisteva con le sue utopie, l’idea che la squadra tipo nei suoi sogni era quella che avrebbe potuto andare nella NBA senza timori reverenziali dal punto di vista fisico e tecnico, peccato che alla fiera delle tre palle un soldo europea, o anche italiana, francese, si doveva scendere a patti anche con mezze figure, Peterson nei momenti in cui era sotto filtro magico e non capiva più i suoi veterani, o almeno non li capiva fino a quando erano sul burrone, poi tornavano a parlare la stessa lingua e, magari, pure a vincere. Capacità perduta quando per salvare il salto nel vuoto del progetto regale ha accettato di capire persino l’estremismo dei giocatori che avevano paura di ombre e bevevano acqua calda scambiandola per vino d’annata. Diciamo la verità anche su Siena: dopo i primi sei minuti in terra Prokom ci era venuto il mal di pancia come all’Artusi che mangiando un minestrone a Livorno si era  convinto che  fossero state quelle verdure a distruggere stomaco ed intestini mentre erano i sintomi della peste appena sfiorata. Ecco  era quella l’idea guardando Kasun fare il solito casin, Sanikidze girare per Saturno senza tenere i piedi a terra, ma poi è venuta fuori l’anima di Hackett, Ress e Brown, nel giorno in cui per i Bi Bi del basket a Los Angeles erano veleni e licenziamenti, nelle ore in cui tutti davano nuovi pseudo registi in arrivo a Siena, ha visto il canestro polacco diventare una vasca da bagno per elefanti. Siamo nella settimana di svendita europea del  due vittorie e tre sconfitte, un cambio merci che ancora non ci tranquillizza, anche se siamo convinti che tutte e tre le italiane possano entrare nella seconda fase. A patto che la Lega, la nuova Federazione, facciano una telefonata a Bertomeu e al responsabile degli arbitri dell’Eurolega perché se dovesse arbitrare ancora il fringuello che ha dato tecnico a Tabu nel bel mezzo della disfida di Cantù, se dovessero andare in campo molti di quelli che abbiamo intravisto in questa quinta giornata di coppa, allora dovremmo domandarci se nel castello di Barcellona hanno deciso che l’Italietta con palazzi inadeguati, con pochi spettatori in  tribuna, non merita di stare nel gioco dove l’idea non è propagandare il basket nel Continente come aveva sempre sognato Stankovic ribellandosi alle grandi società d’affari, lasciamo stare i suoi di affari, ma fare più quattrini possibili. A proposito di eurolega televisiva: la notte in cui Milano e Cantù giocavano in concomitanza,  qualcuno farà capire perchè la gara del Forum è durata 20 minuti in più rovinando i pochi giornali aperti e in attesa? Ci siamo chiesti chi fosse il genio per questi autogol da calo degli ascolti. Un crimen perfecto direbbero in casa del Gaudì Bertomeu, ma noi gli diciamo andate a farvi fottere. Prima di lasciarci non chiedete perché fra le angosce della settimana c’è la solita situazione che rende difficile lavorare a Caserta. Lo sapevamo, lo sapevano, lo sanno in Lega se sta avanzando il movimento no retrocessioni. Non è vero che  i dirigenti farlocchi cacciano gli allenatori perché non possono cacciare giocatori in vitro, perché angosciati dalla caduta in una serie inferiore. A New York e Los Angeles, nel grande calcio, lo fanno a presciondere da certe regole. Certo sarebbe delizioso se il D’Antoni silurato dai Knicks che volano andasse a Los Angeles per quel Brown che Messina aveva scelto come nuovo guru nell’anno del pensiero debole da assistente. Interessante, sempre su Sportweek dove il direttore pensa e anche dovendo mischiare Gazzamarket e sport trova comunque  pianure come quelle della Waterloo wellingtoniana per sconfiggere i Napoleone del “voi non sapete cosa vuole davvero il pubblico”, l’intervista al Gigi Datome che  non deve marciarci troppo sula storia della rinuncia a migliori compensi per stare nella città che, almeno per lui, senza un referendum, è la città magica. Dice cose interessanti che gli allenatoroni dovrebbero leggere, forse anche  noi che non comprendendone il disagio, lo avevamo dato perduto alla ricerca di un io guerriero che non è sempre uguale per tutti. Sulle cadute dei generali si aggancia questa dolorosa teoria che per avere l’uovo oggi, senza valutare la gallina di domani, molti siano andati a vendere l’ingiustizia  nel campo del lavoro, mancando di pazienza, di fede più sulla fatica individuale che sugli allenamenti da parata come pretendevano i maestri di ginnastica ai tempi dei saggi per sua eccellenza che li guardava comunque in cagnesco. Siamo allarmati per  aver ascoltato tante panzane sull’oggi e il domani del basket italiota. Su quello di ieri non possono prenderci per i fondelli. Questi te la raccontano e con la scusa che tengono la luce accesa nella stanza video vorrebbero farci credere che è soltanto nella spelonca che puoi trovare  la strada per far diventare scadente chi sembra più forte. Millantatori superpagati, ma devono fare attenzione perché questi principi che costruiscono da zero, dal pane e cicoria, prima o poi, vorranno verificare, in palestra, tutto questo fermento creativo degli staff, chiedendosi sempre, sapete come sono i principi che partono dalla Bicocca e puntano su Parigi, se non vale più un discorso da Hugh Fennyman negli amori scespiriani che quello dell’’autore che, come diceva l’impresario, crede sempre di essere importante. C’è confusione nell’aria e pagare senza vedere cammelli, senza capire dove porta un certo disegno fa venire il nervoso e lascia troppe sedie vuote. Non tutti abbiamo la fede di Alceo Rapa, l’uomo che capisce i cani e i giornalisti affamati, il genio di Colle Ardizio e del Club Nautico pesarese, convinto che la Scavolini andrà ai play off anche dopo il tradimento di qualche giocatore. Oscar Eleni, sabato 10 novembre 2012