Sembra che soltanto oggi magistratura e media abbiano scoperto che buona parte delle curve calcistiche italiane ha come capi soggetti che, in estrema sintesi, possiamo definire delinquenti. Se non ci fossero di mezzo Juventus, Inter, Milan, Lazio, eccetera, ma come hobby questi personaggi avessero la pesca o il violoncello, li definiremmo spacciatori, mafiosi, ladri, ricattatori, o altro, a seconda del reato commesso. Non pescatori o musicisti violenti, questo certamente no.
Il problema è chiaro: chi è più violento sottomette chi lo è meno, secondo il diritto della forza che è alla base di tutto (anche della democrazia in cui viviamo, nata da una guerra vinta dal 'bene' e non da una partita di scala quaranta) e che in curva è intimamente condiviso anche da chi non ha mai tirato nemmeno una schiaffo. È quindi ovvio che spesso, ma per fortuna non sempre, a comandare sia chi usa la violenza anche in altri contesti. Migliaia di follower si trovano così a seguire, per pura pecoronaggine, leader ai quali magari del calcio importa zero, e ad essere strumenti più o meno consapevoli delle loro porcherie.
Cosa vogliamo dire? Che i delinquenti devono stare in galera, ma vale ovviamente per tutti i contesti (anche per chi tira un estintore a un poliziotto durante una manifestazione politica, per dire), e che non devono essere confusi con chi delinquente non è. In questa scoperta tardiva della violenza ultras vediamo anche l'ultimo passo del sistema calcio (italiano) per trasformare tutti i propri tifosi in clienti, lobotomizzati abbonati a tutte le piattaforme possibili e in lista d'attesa per acquistare la terza maglia ufficiale da trasferta. Un bene per il calcio come industria, che sogna più skybox e meno posti popolari, ma un male per il resto della società. Dove le mettiamo 50.000 persone magari onestissime ma esagitate e desiderose di menare le mani? Dove stia il male minore, per la società nel suo insieme, è chiaro.