Sirtaki, il miglior disco di Mango?
Sirtaki è stato probabilmente l’album di maggior successo commerciale di
Mango, in un’epoca in cui dischi se ne vendevano ancora parecchi e non si viveva di streaming. Uscito nel 0 e trascinato dal singolo e relativo video
Nella mia città, ci coinvolse al punto di acquistarne anche la versione in spagnolo seguendone poi l’ottimo tour che si apriva, alla sola chitarra, con
Sentirti del 1979. Uscito due anni dopo il meno celebre
Inseguendo l’aquila,
Sirtaki segnò di fatto un punto fondamentale del percorso dell’artista lucano, un uomo sempre in movimento che non amava le etichette. Introdotto dal lunghissimo brano di lancio, quasi sette minuti,
Sirtaki è un lavoro che – ci riferiamo alla versione in vinile, leggermente diversa rispetto a quella in CD – va ascoltato tutto di fila, avvicinandoci a un ulteriore ventaglio di suoni frutto di un percorso che, partito negli anni Settanta, si era caratterizzato per il legame di più generi, a conferma di quella costante ricerca portata avanti con coraggio. Con l’alternanza ai testi, del fratello
Armando, e di
Mogol, l’album include brani da ascoltare in pieno relax, sotto il sole mentre si riposa o si viaggia con la mente, come
I giochi del vento su lago salato,
Ma come è rossa la ciliegia (su vinile più suonata, in CD più elettronica), la celebre
Come Monna Lisa e
Così viaggiando. E brani, più ricercati e intimisti come
Preludio incantevole, L’io, Terra bianca e la ‘world music’ della title track
Sirtaki. Al centro una voce inconfondibile e inimitabile, totalmente naturale, e la precisione sonora dell’autore di Lagonegro. A questo punto la domanda è se
Sirtaki, che trent’anni fa vendette centinaia di migliaia di copie, sia anche stato il miglior album di Mango. Difficile esprimere un giudizio vista la poliedricità della sua produzione. A noi piace citare il semi sconosciuto
È pericolo sporgersi del 1982, un’opera tra intrecci new wave e rock, e quella da noi più amata. E ancora
Australia (1985), un disco certamente innovativo e ispirato per l’epoca, e due opere meno celebri: l'omonimo
Mango del 4 e
Credo (7), quest'ultimo che segnò un’ulteriore tappa importante nella ricerca sonora di un artista totalmente unico nel suo genere.