Parigi non è stata fatta in un giorno

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Nell’albo d’oro della Champions League si trova una delle più grandi anomalie del calcio europeo. Se cercate nell’elenco dei Campioni d’Europa dal 1956 a oggi squadre espressioni delle principali capitali europee, resterete delusi. Non c’è Roma, non c’è Berlino, ma nemmeno Mosca, Bruxelles o Vienna. E se non fosse stato per gli errori dal dischetto di Robben, Olic e Schweinsteiger lo scorso 19 maggio, la lista avrebbe continuato a includere anche Londra. Soprattutto, una lista che continua a comprendere anche Parigi. Simon Kuper e Stefan Szymanski nel loro “Calcionomica” hanno cercato di dare una spiegazione sociologica, quasi antropologica, alla fatica che le grandi capitali democratiche europee impiegano per emergere nel grande calcio. L’aggettivo “democratiche” non è casuale, perché le uniche capitali ad aver trionfato, prima del 2012, nel massimo torneo europeo per club (Madrid, Lisbona, Bucarest; Amsterdam lo è solo formalmente, perché la capitale de facto è L’Aja) lo hanno fatto mentre concentravano il potere politico e le risorse di regimi dittatoriali; e solo il Real Madrid è riuscito ad affrancarsi da questa considerazione. Parlando di Parigi, Kuper sottolinea come “per giocare a calcio i ragazzi devono spingersi fino al Bois de Boulogne o sui minuscoli spiazzi d’erba davanti a Les Invalides, dove i tiri riusciti vanno a spegnersi in mezzo al traffico. (…) A Parigi il calcio conta ancora meno che a Londra, e uno può vivere tutta la vita senza nemmeno sapere che esista. E’ davvero improbabile che il Paris SG, il cui stadio non è nemmeno dentro la cerchia del Boulevard-Périphérique, diventi un fondamentale motivo d’orgoglio per i parigini”. Insomma, Parigi è una città dalle opportunità così grande e molteplici, che può tranquillamente fare a meno del calcio. O quantomeno: il calcio può permettersi di occupare un ruolo non centrale nella vita della città. “Parigi è la Capitale di Francia in ogni senso: rispetto all’Italia, da noi è tutto molto più centralizzato verso il potere centrale – concorda in parte Benoit Cauet, centrocampista del Paris SG nella stagione 6/97, poi a lungo in Italia con Inter, Torino e Como – Essere calciatore a Parigi è il massimo, perché vivi in pieno una delle città più attraenti del mondo; ma nello stesso tempo hai meno pressioni, perché il calcio è solo uno dei tanti spettacoli, delle tante attrazioni che offre la città. Io ho giocato anche a Marsiglia e posso assicurare che c’è una differenza abissale tra le due città, perché al Sud il calcio è una vera ragione di vita. A Parigi è visto invece come uno spettacolo, a volte magari brillante, ma come tante altre attrazioni della città”. Dire però che Parigi non sia una città di calcio è profondamente sbagliato. La tradizione calcistica della capitale francese è testimoniata sin dai tempi eroici, se è vero che i primi cinque titoli nazionali vennero spartiti tra lo Standard AC (4) e il Club Français (1), e prima dello scoppio del conflitto mondiale 1914-18 anche Gallia Club Paris e Racing Club France avevano fatto in tempo a portare il titolo Nazionale sotto la Torre Eiffel. L’avvento del professionismo negli anni’30 portò un po’ di ordine in un settore in precedenza caratterizzato da frequenti divisioni e scismi dalla Lega di riferimento, portando alla creazione del campionato di prima divisione che oggi conosciamo come Ligue 1. Tutto questo però non comportò l’ascesa di Parigi ai vertici del calcio esagonale, anzi: dal secondo dopoguerra in poi, per almeno 25 anni la capitale venne rappresentata dal Red Star, in declino dopo le cinque Coppe di Francia vinte tra il 1921 e il 1942, e dal Racing Club Paris, che pur senza mai vincere il titolo trovò a sua volta le sue soddisfazioni nella Coppa Nazionale, riuscendo a portare al Parco dei Principi una media di 20mila spettatori, eccellente per la Parigi snob degli anni’50. Fino a quando non venne creata a tavolino una squadra di riferimento per la Ville Lumiére. Il Paris FC (che successivamente si riprese il titolo sportivo, e che tuttora milita nella terza serie francese) si fuse con lo Stade Saint-Germain, dando vita al Paris Saint-Germain. Fondato nel 1970, salito in massima serie nel 1974, il Paris SG ha dovuto attendere il 1982 per vincere il suo primo trofeo (la Coppa di Francia) e il 1986 per festeggiare il suo primo titolo Nazionale. Il vero decollo dell’immagine del Paris SG è arrivato quindi solamente all’inizio degli anni’90. “In Francia la figura del mecenate che investe nel calcio è sempre stata molto rara – sottolinea Daniel Riolo, giornalista di RMC France e storico del PSG – Per questo quando nel 1 Canal+ decise di assumere il controllo del club, ci fu una svolta epocale. Gli investimenti portarono la squadra a un livello mai visto prima, anche in Europa: cinque semifinali di Coppe Europee, la vittoria in Coppa delle Coppe nel 6, la finale persa con il Barcellona di Ronaldo l’anno dopo. Ma anche il campionato vinto nel 4, e la nomina come migliore squadra d’Europa dall’IFFHS. In quel periodo al Parco dei Principi sono passate le migliori squadre d’Europa: Real Madrid, Barcellona, Juventus, Milan, Liverpool… Poi la situazione peggiorò, quando la presidenza passò da Biétry a Denisot. Quest’ultimo aveva cercato di diventare presidente già nel 2, e quando finalmente venne nominato numero 1 del club, cercò di fare a tutti i costi meglio del suo predecessore. Cosa quasi impossibile: e infatti le cose iniziarono ad andare davvero male, perché nonostante investimenti come Dalmat o Anelka, i risultati non arrivavano più”. Una situazione drasticamente peggiorata, che avrebbe potuto contornarsi di tinte fosche se non fossero arrivati… i Nostri, vale a dire il fondo di investimento statunitense Colony Capital: “Sono arrivati nel 2006 – continua Riolo – e hanno trovato una società allo sfascio sotto ogni punto di vista. In tre anni hanno lavorato sulle infrastrutture, sui campi d’allenamento, sullo stesso Parco dei Principi. Hanno avuto il coraggio di dare un giro di vite al problema degli ultras violenti, che si era fatto sempre più difficile da sostenere”. Fino alla cessione, formalizzata tra giugno e luglio del 2011, del pacchetto di maggioranza alla QSI (Qatar Sports Investments), finanziaria d’investimento che fa capo allo sceicco Tamim Bin Hamad Al Thani, principe ereditario del Qatar. Il pensiero, a Parigi, è andato subito all’esperienza del Matra Racing, che negli anni’80 provò a portare la grandeur calcistica a Parigi, con esiti disastrosi: “il paragone non si pone nemmeno, per fortuna – sottolinea Riolo –Fu il primo esperimento di calcio-business, con Jean-Luc Lagardère, capitano d’industria francese, ben introdotto negli ambienti di potere, che cercò di fare le cose in grande. Ma i tempi non erano ancora maturi. Adesso non farebbe notizia, ma ancora negli anni’80 un industriale che decideva di investire in quel modo nel calcio non era ben visto dai pari rango… Lui credeva di vincere solo per il fatto di aver speso un sacco di soldi. Ingaggiò due campioni come Littbarski e Francescoli, riprese il nome storico del Racing Club, grande squadra degli anni’40, ma dietro c’era il nulla. Lo stadio era in condivisione con il PSG, sempre mezzo vuoto; e le strutture di base non erano all’altezza. Favoleggiavano di un derby con il PSG, ma a malapena attiravano 25mila spettatori. Come nacque, il Matra sparì: ma di lì a poco arrivò Tapie al Marsiglia… di fatto aveva gettato le basi per il moderno calcio-business”. E’ allora un po’ più chiaro il modello di ispirazione del Paris SG targato-Qatar: sempre secondo Riolo, “si rifanno al periodo di investimenti di Canal+, quando c’era una strategia ben definita. Ad esempio, per prima cosa esonerarono l’allenatore Henri Michel (che pure era stato CT della Francia, ndr) per prendere Artur Jorge, uno che quattro anni prima aveva vinto la Coppa dei Campioni con il Porto. Proprio come hanno fatto Leonardo e Al-Khelaifi”. Ma questa è un’altra storia. Un’avventura che merita di essere riavvolta, come la pellicola di un film, e rivista tutta d’un fiato. Federico Casotti, estratto del libro PARIGI NON E' STATA FATTA IN UN GIORNO - La stagione del Paris Saint-Germain: come spendere 100 milioni in un anno, non vincere nulla ed essere (tutto sommato) contenti eBook disponibile su Amazon in formato Kindle.