La parte soggettiva del basket
Ci sono sport che si prestano all’analisi statistica più di altri. Fra questi c’è di sicuro il basket, in particolare quello NBA che è ripreso da poche settimane e che da anni assicura i migliori ritorni agli scommettitori professionali insieme all’hockey ghiaccio e al baseball (la disciplina che in pratica ha ‘creato’ la statistica sportiva, guarda caso).
Il metodo di formazione delle quote (uguali intorno all’1,90 ma con handicap) più diffuso è quello basato sulle percentuali di vittorie rispetto alle partite giocate, che ovviamente assumono un significato solo dopo qualche settimana di stagione regolare. Prendiamo una teorica partita fra i Lakers (mettiamo con una percentuale del 70%, in ‘statistichese’ americano si scrive ‘.700’) e i Nets (per ipotesi al 30% di vinte). Quale sarebbe una quota di partenza ‘giusta’? La formula usata da molti bookmaker è questa: percentuale della favorita meno percentuale della sfavorita, diviso 20. Nel nostro caso: 700 meno 300, diviso 20. Risultato 20, cioè i punti di scarto teorici, a cui si aggiungono e sottraggono 3 punti a seconda di chi giochi in casa. Allo Staples Center la squadra di Kobe Bryant avrebbe così un handicap teorico di 23, da rifinire in caso di partite in giorni consecutivi e di confronto fra gli ultimi risultati. Tutto ciò che si discosta dal meno 23 dei Lakers dipende quindi dai fattori più volte citati: allibraggio, stato di forma dei giocatori chiave, eccetera. Siamo quindi in grado di isolare la parte soggettiva della quota, confrontandola con le nostre idee, da quella base.
Stefano Olivari(Pubblicato sul Giornale)