Il budget di Scariolo
Oscar Eleni costretto a discutere con le formiche di fuoco trovate a Siracusa che pretendono di spiegare cosa si nasconde nei fuocherelli dei santi che ti mandano al manicomio. Un diversivo nel Paese degli ammazzacervelli dopo una settimana tempestosa che alla fine ci fa ascoltare soltanto il canto melodioso dei campioni cubani. Eravamo prigionieri dell’invidia dopo che
Melissa Vargas, servita meglio delle nostre schiacciatrici, aveva seppellito, nel nome di
Santarelli (sarà un santo vero?), per l’onore della Turchia, la sua nuova patria sportiva dopo aver abbandonato Cuba, l’Italia allargando a dismisura l’esercito degli amMazzanti. Poi ci si è messo
Wilfredo Leon a sfasciare i nostri muretti rimasti nell’argento del volley europeo nel nome della Polonia che lo ha passaportato dopo il suo viaggio senza ritorno dal Malecon dell’Avana. Insomma pensavamo che i grandi esiliati ce l’avessero con le nostre belle squadre di pallavolo, i nostri sogni sportivi, ma, per fortuna, ci ha pensato
Andy Diaz Hernandez, il triplista cubano fuori dai Giochi di Tokyo per infortunio e atterrato in Italia fra le braccia di gente appassionata, come dice lui, del
Donato che gli ha ridato voglia di rimbalzare anche oltre il suo record italiano, per portare sul podio di Eugene, nella finale circense della Diamond League, un campione che speriamo di poter vestire con la maglia azzurra a Parigi se i burocrati non saranno troppo lenti. A proposito di Diamond League dove
Duplantis, Ingebrigtsen e la
Tsegay hanno fatto primati che ricorderemo, dobbiamo confessare che ci sembravano tutte messe sacrileghe quelle corse, quei salti, quei lanci di grandi atleti quasi tutti vestiti alla stessa maniera, artisti sul palcoscenico. Insomma non siamo riusciti a digerire il tutto e ci dispiace per la passione e la competenza dei telecronisti che cercavano di coinvolgerci come il meraviglioso
Fabbri vestito di viola, i colori della sua la sua Fiorentina che quasi alla stessa ora stava rimontando l’Atalanta mentre lui andava ancora una volta oltre i 22 metri nel giorno in cui
Kovacs batteva finalmente
Crouser in una gara di getto del peso che chiudeva una stagione importanate in questa specialità. Ma torniamo alle nostre tempeste mentre ci dice addio
Stella, la moglie sempre nella trincea di Spartacus
Gamba. Lui le conosce le tempeste che rovinano la vita di chi tenta di fare l’allenatore ad alto livello. In queste settimane, mentre la testa di
Mazzanti era offerta al discount, si pensava che anche il francese della Ferrari avrebbe fatto le valige dopo soltanto una stagione, ma poi
Sainz ha ridato il sorriso a tutti e magai anche a
Lapo Elkann che a Monza era stato respinto mentre si avvicinava ai ferraristi al lavoro. Non se la passava bene il gentiluomo
Volandri, soprattutto dopo la stangata coi canadesi, ma poi è tornato il sereno con la benedizione di
Berrettini che zoppicando stava nella famiglia della Davis tennistica e del novantenne
Pietrangeli vescovo benedicente nella tribuna bolognese, un campione che ascolteresti sempre, anche in coppia con
Panatta o
Bertolucci. Non ha pagato neppure Pioli per la stangata nel derby e per la dichiarazione agghiacciante sui primi 4 minuti che gli erano piaciuti. Meno male. Niente da fare invece per don
Sergio Scariolo, più grande in Spagna che in Italia dove pure ha vinto e fatto belle cose, liquidato dalla Virtus per aver detto soltanto la verità sulla squadra che non aveva certo fatto lui, ma che aveva intenzione di migliorare con lavoro e fatica. Le reazioni a Basket City sono state tante per un divorzio che, come dice saggiamente
Villalta, era nell’aria da tantissimo tempo visto che da “S
cariolo miglior allenatore del mondo” annunciato al popolo dal padrone
Zanetti si era arrivati al gulag
Djordjevic licenziato, ripreso e poi cacciato anche dopo lo scudetto vinto. Come ha scritto per
Campana, sul bellissimo sito,
Giorgio Bonaga, la verità è che Scariolo si poteva pure criticare, lui lo ha fatto spesso, ma “
Basket City e la sua antica Università non meritano tanta ignoranza”. Ora speriamo che
Luca Banchi non si trovi a dover convincere chi offrendogli un biennale lo ha riportato in Italia dopo lo splendido mondiale con la Lettonia e il premio come miglio allenatore nella festa europea dove la Germania si è presa il titolo e la Serbia i complimenti di chi crede nel valore di certe scuole anche se l’inquinamento dell’ignoranza, il denaro, i troppi che sullo sport mangiano sbattendosene degli atleti e della loro salute, spingono a credere nei ciarlatani e mai in chi suda davvero in palestra con quelli che allena. Banchi ha vinto abbastanza per non dover dimostrare a nessuno il suo talento. Si tenga la garra grossetana, si tenga ogni tipo di esperienza, dalla birreria dove
Proli cercò di convincerlo che Siena era ormai tropo stretta, ai giorni con la valigia sulla porta della sede Olimpia e poi in giro per il mondo. Se vincerà diranno che sono dei geni, se dovesse perdere le colpe saranno soltanto sue. Cari merli, quale allenatore non conosce questa religione barbara? Lo ha detto mille volte il sciur Gamba che ora ha perso la sua Stellina, lo diceva anche a Bologna dove ha insegnato e sofferto. Basket che nel fine settimana metterà Banchi davanti alla prima montagna nella supercoppa visto che sabato a Brescia dovrà affrontare l’Armani in una semifinale che porterà poi al confronto con Brescia o, magari, Tortona, che sembrano più solide e belle dell’anno scorso. Partita delicata, ma sempre finta perché il lavoro al completo, dopo i rientri dai mondiali, è stato davvero poco. Nei test, come sempre, si fa una gran confusione e se Milano è felice per il suo
Mirotic, ma, soprattutto, per aver ritrovato
Pangos, diciamo che alla Virtus si rendono conto che un budget passato da 30 a 22 milioni forse non ha portato in città il meglio per sorpassare la grande nemica, per essere competitivi in Eurolega. Basket che ha congedato fra gli applausi la Nazionale ottava a Manila, gioiello di casa
Petrucci visto da tanta gente anche se quei dispettosi della pallavolo, sempre fra Rai e SKY, hanno fatto numeri nettamente superiori. Ci rifaremo, speriamo, a Parigi, quando
Pozzecco e i suoi tanti e meritati ammiratori risponderanno a
Sandro Spinetti che sempre sull’e-giornale di Campana si domanda quale sia il marchio di questa Italbasket sostenuta da un entusiasmo che sembra artificioso visto che non ha un suo gioco dopo il passaggio dal pragmatismo sacchettiano al liberalismo del Poz. Maledicendo i fuochi vari abbiamo dovuto rinunciare alla prima sul docufilm di
Samuele Rossi dedicato a
Dino Meneghin che è stato grande davvero se ancora oggi chi va al Palazzo o allo stadio per insultare e tirare oggetti lo insulta, in via anonima, si capisce, mentre le case della gloria a Springfield e in Europa lo hanno voluto nella loro reggia. Dolore non esserci, anche se il caro
Peterson, dicendo che c’erano tutti i grandi giornalisti al teatro Litta mi ha definitivamente squalificato e dequalificato senza offesa per chi c’era dai cari
Viberti al
Vanetti mai dormiente. Tristezza doppia non aver onorato il Pavoniano, bellissimo il manifesto col programma ricordando il Tau e fratel Brambilla, dopo l’invito di Colnago, sapendo anche della mostra dedicata a
Franco Casalini campione d’Italia e d’Europa, assistente fedele, geniale in una vita spesa bene nell’ironia e nelle notti senza fine sui Navigli con amici che erano anche fratelli. Una volta in via Giusti si viveva una speciale festa fra le stagioni agonistiche, infilandoci belle storie e partite non soltanto del cuore proprio come ai giardini Margherita di Bologna, con botte dentro e fuori per la disperazione del super Brambilla che si era inventato quel regno e quella scuola.