A muso duro

20 Dicembre 2014 di Paolo Morati

Pierangelo Bertoli

Pierangelo Bertoli lo abbiamo conosciuto musicalmente nei primi anni ’80. Di fatto ci ricordiamo di un suo concerto pubblico in un giardino di Milano, con la musica che entrava attraverso le barriere delle finestre. Dalle nostre parti girava inoltre da tempo qualche sua musicassetta, annegata tra l’amato pop e la nicchia in cui solitamente navigavamo. Bertoli dunque, cantautore nell’accezione più sociale del termine, duro nelle sue posizioni di sinistra e contro quelle della Chiesa cattolica (vedi l’anti-abortismo trattato in Certi momenti), ma anche capace di parlare in modo indipendente e senza timori, di storie e vita. Oggi ci viene da dire che un artista di questa fattura manca nel panorama italiano sempre più catodico e allineato nei temi, ed è quindi urgente parlarne proprio prima di Natale, quando tutti si dovrebbe essere più buoni non nel nome dei regali, dei premi e del pietismo ma degli atteggiamenti fieri e coerenti verso gli altri (in È nato si dice affermava: “È nato si dice poi fu crocifisso, aveva diviso il mondo in due parti e quelli che l’hanno trattato più male son quelli che hanno inventato il Natale”).

In tal senso Bertoli ci è sempre parso un uomo libero e coerente (in Così cantava “Ma sono fatto così e non ci posso far niente prendimi pure così come mi accetta la gente”), che faceva discutere, arrivato tardi al successo dopo una gavetta cominciata quando alla fine degli anni ’60 prese in mano una chitarra per musicare i suoi testi, avendo in repertorio canzoni in dialetto (nato a Sassuolo, raccontava di come questo fosse più simile all’inglese rispetto all’italiano, e quindi più adatto a una certa musica), l’esperienza del Canzoniere del Vento Rosso, fino all’incontro qualche tempo dopo con la conterranea Caterina Caselli che lo propose con la sua etichetta al pubblico più vasto. Grandi poesie le sue, si voglia concordare o meno coi messaggi veicolati ponevano occasioni di dibattito, a cominciare da Se fossi, piccolo manifesto filosofico (“Vivo la vita e quello che c’è con i suoi forse, coi suoi perché… Con le risposte che so trovare, senza nascondermi e senza barare”) passando per la confessione popolare di A muso duro (“Ho sempre odiato i porci ed i ruffiani e quelli che rubavano un salario”) e le denunce ecologiste di Eppure soffia (“Il falso progresso ha voluto provare una bomba… I crimini contro la vita li chiamano errori”), quella impietosa di Italia d’oro (“Italia nera sotto la bandiera vecchia vivandiera te ne sbatti di noi mangiati quel che vuoi fin quando lo potrai tanto non paghi mai”) fino alla lirica dolcezza di Per te (“Ho respirato amore che usciva da te ed ho capito cose perché tu vivevi i tuoi giorni con me”) e Per dirti t’amo (“La vera vita non si alleva in una serra, chiedo il tuo amore, che è nutrito dalla terra, perché è cresciuto con la pioggia e con il sole e sa capire anche queste mie parole”). E all’analisi sociale di Il centro del fiume, che sembra scritta oggi: “Trascorri le ore studiando le pose già viste, su schermi elettronici di false riviste”).

Ma Pierangelo Bertoli era anche interprete di livello, e la stessa rabbia e passione nel pronunciare le parole da lui scritte le metteva anche in canzoni non sue. La più famosa è probabilmente Pescatore (di Marco Negri), duetto con Fiorella Mannoia diventato rapidamente un classico, così come la bellissima Mamma Lisa (di Giuseppe Brandolini), bertoliana nell’essenza (“Sotto le bandiere tuonano i cannoni, sparano le mitraglie o volano gli aquiloni, sotto le bandiere cadono gli eroi, sotto le bandiere che abbiamo scelto noi”). Come spesso accade è poi dovuto intervenire il Festival di Sanremo per sdoganarlo presso il pubblico mainstream che nel 1991 grazie a Spunta la Luna dal monte scoprì questo scomodo cantautore (e i Tazenda), non tanto (o non solo) per le sue idee quanto per la sua disabilità. Colpito dalla poliomielite da bambino e costretto quindi a crescere e vivere in sedia a rotelle (ma parlò comunque di una infanzia felice, una vita di cortile), in una delle interviste rilasciate nel corso della sua carriera, a Enzo Biagi raccontava con tranquillità negli occhi di come sostanzialmente tutti abbiamo degli handicap, qualcuno aiuterà lui a salire sul palco ma lui potrà magari aiutarlo a sua volta in altro modo, in uno scambio sereno e paritario.

“E non so se avrò gli amici a farmi il coro o se avrò soltanto volti sconosciuti canterò le mie canzoni a tutti loro e alla fine della strada potrò dire che i miei giorni li ho vissuti”.

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