Kate Bush è tornata, prima dell’alba

28 Agosto 2014 di Paolo Morati

Kate Bush

Kate Bush è tornata e l’ha fatto da trionfatrice. La prima londinese dello spettacolo Before the Dawn, che ha segnato il ritorno sulle scene della grande cantante e autrice britannica, è stata salutata con entusiasmo da critica e pubblico (esauriti in 15 minuti i settantasettemila biglietti per i 22 show previsti all’Hammersmith Apollo). Per rendersene conto basterebbe scorrere i diversi articoli usciti e le opinioni dei fans che celebrano la rentrée di questa artista visionaria e assolutamente pop nella accezione nobile del termine. Spettacolo che probabilmente non avrà una diffusione massiccia online di riprese da parte degli spettatori, diligentemente rispettosi della richiesta fatta da lei di non fotografare, filmare quanto visto. Un appello intelligente nell’epoca in cui la concentrazione su un’esibizione artistica viene continuamente sviata dal desiderio di scattare un souvenir digitale (come sono lontani i tempi in cui ti requisivano la macchina fotografica all’ingresso…).

Non potendo dire nulla sullo show, desideriamo condividere il nostro primo ricordo di Kate Bush che ha rappresentato un importante spartiacque, deciso, tra la musica dell’infanzia e quella dell’adolescenza. L’immagine chiara e nitida è quella del video di Babooshka, folle brano pubblicato nel 1980 dal significato in realtà ben chiaro nelle parole (che non potevamo comprendere) e nelle immagini, con quel contrabbasso abbracciato, scosso, sfiorato e roteato fino all’esplosione con cambio di costume e spada. Erano passati solo due anni da Wuthering Heights che l’aveva lanciata nell’empireo delle charts, supportata agli esordi da David Gilmour, verso una storia discografica centellinata nel tempo con lunghi silenzi dagli anni ’90 in poi, nonché sporadiche e brevi apparizioni.

Tornando a quel momento fatale, Kate Bush si manifestò allora sul nostro televisore in bianco e nero da 17 pollici, con audio monofonico, uscendo fuori in tutto il suo splendore fisico e vocale. Forte di un magnetismo innato, bastò a catturarci già solo la sua singola presenza essenziale laddove altre cantanti (e donne) senza un adeguato supporto non riuscirebbero a sfondare nemmeno lo schermo di un Cinevisor. Gran canzone, straordinario arrangiamento, che pezzo! Ecco, oggi che siamo diventati grandi e forse adulti, ci piacerebbe invece poterla abbracciare dolcemente come fece qualche anno dopo Peter Gabriel nel video di Don’t give up e poterle sussurrare anche noi, alla ricerca di consolazione: “I am a man whose dreams have all deserted, I’ve changed my face, I’ve changed my name, but no one wants you when you lose”.

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