L’ultimo urrà di Gibilisco

11 Dicembre 2013 di Stefano Olivari

Giuseppe Gibilisco

Giuseppe Gibilisco è vivo e lotta. Non proprio insieme a noi, perché per preparare quella che dovrebbe-potrebbe essere la sua ultima stagione è andato in ritiro in Sudafrica. Per l’esattezza a Stellenbosch, dove insieme agli amici tedeschi Malte Mohr (personale di 5,91, un centimetro più di quello di Gibilisco) e Raphael Holdzeppe (bronzo ai Giochi di Londra e recente oro ai Mondiali di Mosca, anche lui con personale a 5,91)  si sta allenando come non mai, agli ordini del suo allenatore Maurilio Mariani, ai suoi tempi astista da 5,70. E lì il gruppo, che comprende anche gli allenatori dei tedeschi, rimarrà fino a Capodanno. Un ambiente meraviglioso, che sembra fuori dal mondo e dallo stesso Sudafrica: lì fra l’altro c’è una delle università più famose e si producono i migliori vini del paese e dell’intera Africa (non è che ci sia grande concorrenza, va detto). A Stellenbosch qualsiasi evento, nonostante Cape Town sia distante solo poche decine di chilometri, arriva attutito. Morte di Mandela compresa, che dalla popolazione locale è stata vissuta meno intensamente di quanto sia accaduto a Bergamo o a Viterbo. Anche perché, nostra modesta considerazione geopolitica, la maggioranza della popolazione di Stellenbosch parla l’afrikaans (il dialetto boero, misto di olandese e tedesco che è più comprensibile agli odierni olandesi che agli odierni tedeschi) e quindi è presumibilmente bianca. Proprio con Mariani prima della partenza per il Sudafrica Gibilisco si è allenato per 10 giorni ad Ascoli, sotto gli occhi attenti del professor Vittori. Fisico tiratissimo, come testimonia la foto che ieri ha inviato all’amico Giorgio (è la foto che pubblichiamo), Gibilisco a 34 anni è convinto di valere 5,80 e gli allenamenti dell’anno scorso lo hanno dimostrato anche se in gara non è mai andato oltre i 5,70 (nell’occasione che gli è valsa l’oro ai Giochi del Mediterraneo). L’ultimo campione del mondo italiano in una qualsiasi specialità dell’atletica (Parigi 2003), che purtroppo rischia di rimanere l’ultimo ancora per decenni, vuole regalarsi un ultimo urrà agli Europei di Zurigo prima di mettersi a insegnare o magari di gestire il centro per astisti a Formia. A proposito di Formia: Gibilisco, che al contrario di tanti altri addetti ai lavori lo ha conosciuto solo di striscio, è rimasto l’unico a battersi per far mettere lì una statua di Pietro Mennea. Noi tifiamo anche perché scriva un libro, per raccontare le differenze fra l’antidoping italiano e quello di altri paesi. Da una parte l’accanimento mirato su alcuni sport che non portano scalmanati in piazza, come l’atletica e il ciclismo, con il calcio trattato con i guanti, dall’altra federazioni che proteggono anche i loro campioni più sporchi, agendo a ogni livello (e siccome ogni federazione vale un voto, l’isoletta per evasori fiscali vale l’Italia). Gibilisco ha avuto la carriera spezzata da un equivoco, uscendone stra-pulito (con meno righe di scuse giornalistiche di quelle, già poche, ricevute da Antonio Fazio) ma arrivando sull’orlo dell’abisso. Però sa anche vivere il presente. Il Mondiale indoor di marzo (a Sopot) è una tappa di passaggio, mentre l’Europeo come campo di partecipanti vale quasi un’Olimpiade. Chiudere con un buon piazzamento 15 anni di carriera ad altissimo livello sarebbe il modo giusto per iniziare il futuro.

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