Atei in trincea

31 Luglio 2013 di Stefano Olivari

Molti amici di Indiscreto apprezzano il nostro bilancio di fine stagione, senza un vero perché. Non abbiamo stagione, quindi in teoria non dovremmo avere nemmeno un finale. Al massimo ci riposiamo qualche giorno, rimettendoci in pari con letture di spessore discutibile e grane amministrative, mentre buona parte dei motivi per collegarsi ad Indiscreto rimangono in essere: i commenti dei 25mila lettori (facciamo 100, a fronte di 24.900 lurker) sull’attualità e magari qualche articolo folle del recente passato. In ogni caso da lunedì 5 agosto saremo di nuovo in trincea, contraddicendo il proverbio ricordato dall’immenso Richard Dawkins in un suo libro: ‘Non ci sono atei in trincea’. Punto della situazione? Punto della situazione.

1. Mai nella sua storia, partita nel 2000 in maniera molto new economy (un sito di gossip che avrebbe dovuto far parte di uno degli allora fiorenti portali) e proseguita a zig zag, Indiscreto ha avuto tanti lettori e pagine viste come nell’ultimo anno. La scelta di scrivere meno, evitando quegli articoli più brevi del loro titolo che fanno la fortuna di altri siti, è stata premiata dal pubblico. Anche quando abbiamo parlato di sport seguiti da quattro gatti, di cantanti sconosciuti o di libri di ultra-nicchia. E siccome si scrive prima di tutto per essere letti, ne siamo felici senza falsa modestia.

2. Parliamo di soldi. Abbiamo tolto i banner pubblicitari dal sito, per un motivo ben preciso. Non il fastidio provato da alcuni lettori nel vederli (potremmo rispondere, con la proverbiale educazione piccolo borghese che ci è stata impartita, che a noi dà molto più fastidio scrivere gratis), ma la poca trasparenza negli incassi. Non possiamo promettere al giornalista Tizio che lo pagheremo 10 quando le visualizzazioni del suo articolo potrebbero rendere 15 come 0, a prescindere dalle statistiche. Chi sa come funziona Google Adsense, il mercato delle affiliazioni e il sistema delle concessionarie da pay-per-click non ha bisogno di ascoltare il solito web-piasgnisteo.  Vuoi la bici e poi… pedalare, cazzi tuoi (Max Pezzali). Non è nemmeno questione di ‘investimenti’, al di là del fatto che se avessimo 10mila euro che ci crescono li daremmo a un gattile o al limite a un casinò piuttosto che a un sito web, ma di formula. Quando ci faranno una proposta interessante, presumibilmente mai, ci ripenseremo. Intanto evitiamo il ‘da cosa nasce cosa’, sia con giornalisti affermati che con giovani di talento. Da cosa nascono sempre meno cose, anche se tuttora riceviamo mail in cui ci viene offerta ‘visibilità’. Su Indiscreto se bisogna scrivere gratis, perché la realtà è questa, preferiamo scrivere noi o non scrivere. Un delitto non pagare Oscar Eleni, Paolo Morati, Carlo Vittori, Simone Basso e i pochi altri che ci regalano lavoro e amicizia. Ma la realtà è questa.

3. Il discorso pubblicitario è ovviamente legato ai contenuti. Se avere 5 milioni di pagine viste al mese invece che 500mila portasse significativi vantaggi è evidente che scriveremmo molto di più di calcio. Non siamo autolesionisti né tantomeno snob: il 90% del nostro lavoro remunerato, dal Guerin Sportivo a situazioni molto più oscure, riguarda il calcio. Su Indiscreto l’assenza di ricavi ci consente una libertà di cui per certi versi faremmo a meno, ma che nella sostanza ci regala almeno la libidine di scrivere quello che ci pare, come ci pare, degli argomenti che ci interessano quel dato giorno.

4. Questo faticoso ragionamento, meno articolato di quelli mitici di De Mita ma ugualmente incomprensibile, ci porta a una considerazione positiva: il mondo è pieno di cose interessanti, che archiviamo nel file ‘cultura pop’ ma che sono in realtà inclassificabili. Sport, musica, libri, cinema, eccetera? Da taggatori indefessi inseriamo tutto in categorie, ma è sempre più chiaro che la vita è una sola: la persona che sta smadonnando contro Fognini è magari la stessa che sta rlleggendo per la quarta volta la Recherche o si entusiasma per Montezemolo (non siamo noi. che apprezziamo Fognini, leggiamo Tex e detestiamo la Ferrari) e non è che un aspetto della sua vita cancelli gli gli altri. Tutto chiaro, vero?

5. Indiscreto non ha secondi fini, ma ne ha un primo e un terzo. Il primo è quello di mettere in vetrina libri e eBook che produrremo (tanti, tanti, tanti, quasi alla Jovanotti: il prossimo riguarda Vasco Rossi, con storie davvero mai raccontate) ma soprattutto i loro autori. I giornalisti che li hanno recensiti sulle loro testate vanno ringraziati doppiamente, perché siamo al di fuori di ogni circuito e non abbiamo quindi merce da scambiare, ma siamo consapevoli che la promozione ce la dobbiamo e ce la dovremo fare da soli. Il terzo fine, che vorrebbe essere il primo ma che al momento è in sonno come certi massoni, sarebbe quello ingenuo di migliorare il mondo anche con una singola parola. A costo di ricavare antipatie professionali e personali, querele e diffide (quasi tutte riguardano Indiscreto e quasi mai per cose scritte da noi), sguardi di compatimento da parte di chi pensa di avercela fatta.

6. A proposito di… libri, non di Henry. Alcune firme storiche dei muri di Indiscreto ci hanno scritto mail molto sentite, a cui abbiamo risposto personalmente, lamentandosi del fatto che il tempo dedicato ai libri di Indiscreto tolga tempo e spazio agli articoli sul sito. E’ un’obiezione giusta, che però non può avere risposta. Con alcuni libri abbiamo guadagnato tanto, con altri siamo stati in linea di galleggiamento mentre qualcuno è stato purtroppo un bagno di sangue. Tirando le somme, è andata bene. Molto bene, in rapporto al periodo tragico e al fatto che si ritenga normale spendere 50 euro per una cena ordinaria ma non 10 per un libro. Di sicuro il lavoro, inteso proprio come lavoro, andrà sempre più in questa direzione.

7. Una statistica piuttosto grezza, basata solo sulle mail (sia di apprezzamento che di critica) ricevute e su una nostra domanda di marketing (“Come ha saputo dell’esistenza del libro?”), ci consente di affermare che fatte 1.000 le copie vendute di un libro (il record è quello de Il Teppista con 15 volte tanto, ma a volte non siamo andati oltre le 200 copie) non più di 20 sono state comprate da lettori di Indiscreto. Ringraziati quei 20 che ci hanno dimostrato affetto, pur non condividendo certe nostre scelte, diciamo che da un lato è stata una grossa delusione, per chiamare le cose con il loro nome, mentre dall’altro questa scoperta ci ha reso più liberi. Chi legge Indiscreto non è classificabile, se non in base al genere (0,01% di donne, per trovarne una percentuale minore  bisogna andare in certi bar di periferia o alle mostre mercato di fumetti) e quindi non potrà mai esistere un ‘libro di Indiscreto’. In tutto questo c’è del buono: esenta noi da paraculaggini tipo ‘siamo al servizio del lettore’ e da furbizie tipo ‘La ringrazio per la interessante domanda’. E i lettori da qualsiasi legame diverso dal piacere di essere in un bar con clienti mediamente civili. Basta confrontare il Muro del Calcio, anche nei suoi giorni peggior trollaggio, con i commenti agli articoli di grandi giornali (oltretutto quelli che pubblicano sono i meno stupidi…) sugli stessi argomenti.

8. Conclusione: liberi tutti di scrivere quello che si pensa, nel rispetto della legge italiana e consapevoli del fatto che i responsabili del sito possono/devono cancellare certi commenti senza fornire spiegazioni. Stando alle statistiche di WordPress, è successo solo 8 volte in 13 anni e, visto il tenore di molte frasi rimaste online, doveva essere proprio spazzatura.

9. Libertà. Anche se questo fosse l’unico motivo per andare avanti con Indiscreto, sarebbe comunque un buonissimo motivo. Sappiamo che il vero bilancio stagionale deve essere amaro e triste, ma se non siamo amareggiati o tristi come facciamo? Nella foto, scattata poco prima di scrivere queste righe, si vedono, in ordine di importanza: il nostro anziano gatto, Tex originali, un MacBook d’annata, una fattura che verrà ottimisticamente pagata a 360 giorni, una mano che accarezza. Felicità. Ci rivediamo fra poco…

10. Dieci punti, quando ne sarebbe bastato uno. Non cambieremo mai, un po’ come Baby K.

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