Basket

Vivere alla Sam Martin

Stefano Olivari e Giorgio Specchia 07/03/2013

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Tutti nella vita hanno eletto un proprio campione del cuore. Che non sempre è il più forte. Anzi, quasi sempre ha rappresentato solo qualcosa di speciale in un determinato periodo della vita. Per questo il campione preferito, mio e del direttore, è Chuck Jura. Uno che non ha alzato trofei, ma ci ha fatto sognare con i suoi 30 e passa punti a partita nei 7 anni nella Mobilquattro-Xerox, l’Altra Milano del basket. A distanza di vent’anni dalla sua versione Palalido, abbiamo conosciuto Jura per motivi di lavoro. E’ bastata un’intervista via telefono, rigorosamente in italiano. “Vi aspetto in Nebraska”. E in Nebraska siamo andati. Per noi, tifosi di Chuck, era troppo grande la voglia di rivederlo in campo. “Ok. Venite al campetto all’una del pomeriggio”. Lì Chuck ci ha presentato Sam Martin, il suo migliore amico dai tempi dell’università. Sam era senior, all’ultimo anno con gli Huskers. Chuck iniziava invece le sue tre stagioni (ai tempi chi era al primo anno di college giocava in una squadra a parte, quindi gli anni effettivi erano solo tre) nella squadra allenata da Joe Cipriano, guarda caso un italo-americano. “Coach, come è l’Italia?”, gli chiese un giorno Chuck… Sam era il migliore a scuola e il migliore al tiro. E, visto che a livello universitario non c’era ancora (sarebbe stato introdotto negli anni Ottanta) quello da tre, l’unica statistica moderna tra fine anni Sessanta e inizio Settanta resta quella dei tiri liberi. Sam viaggiava intorno al 96%… Però non aveva altro. Il suo fisico era normalissimo e l’altezza era di 1.85. Insomma, solo un gran tiro. Sam allora lasciò la pallacanestro al primo posto tra gli hobby per dedicarsi al lavoro e alla famiglia. Una moglie stupenda, due figlie ancora più belle. Chuck, dopo gli undici anni in Italia, tornato in Nebraska si recò subito da Sam. Sull’aereo verso Omaha gli si era staccata una capsula. Sam, nel frattempo, era diventato il miglior dentista della zona e, oltretutto, dagli amici non ha mai voluto un dollaro. Un dentista atipico, per come li conosciamo in Italia. Sam, ogni anno, per un paio di mesi spariva. Prendeva tutto il necessario e andava in Amazzonia a curare, a sue spese, i bambini e chi ne avesse bisogno: cioé quasi tutti. Tornava da quelle zone più forte di prima. Dentro e anche fuori. Al campetto di Columbus, durante la pausa pranzo, al termine della partitella si divertiva a sfidare gli amici in scontatissime gare di tiro da tre. Nessuno lo ha mai battuto. Abbiamo visto con i nostri occhi il signor Martin eseguire una serie di 30 su 30 per tutto l’arco del tiro da 3. E, cosa che ci ha stupito, gli altri non erano nemmeno sorpresi. “Lui è così. Tira sempre uguale, allo stesso modo” ci disse Chuck, un po’ geloso. Nei tornei master Chuck e Sam hanno sempre vinto. Palla dentro a Chuck, oppure tiro da fuori di Sam. Non ce n’era per nessuno, nemmeno quando la piccola squadra del Nebraska andava a giocare a Jacksonville, in Florida, contro gli squadroni più forti d’America, contro gli ex pro come Artis Gilmore. Qualche mese fa Sam, mentre stava tornando a casa dal lavoro, è svenuto. Il male più terribile lo aveva catturato. Sam ci ha provato. Cure terribili. Niente da fare. Allora si è chiuso in casa. Chuck e gli amici, durante i tornei Master, gli spedivano cartoline. Sam non rispondeva. Un giorno Chuck, fregandosene, è entrato nella stanza di Sam. Lo ha accarezzato. Sam ha aperto gli occhi solo un attimo, poi li ha richiusi. Un ultimo saluto. Per ricordarsi di restare amici, per sempre. Ciao Sam, vero campione.

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