Punk alla carbonara

13 Marzo 2013 di Redazione

Metà anni ’70. Gli anni di piombo si abbattono su un paese già inghiottito dall’apatia soprattutto giovanile, mentre i primi vagiti del riflusso spazzano via i resti dell’impegno politico. Per un manipolo di giovanissimi carbonari la scossa può arrivare solo dall’ estero e in ritardo, come sempre. Nell’autunno del 1976 la scena del primo punk inglese nata in quell’estate affila le armi, e non si tratta solo di musica. Se da un lato gruppi come i Pistols – e per un periodo solo loro – sono la prova che non si deve per forza essere Frank Zappa per mettere in piedi una band (sogno dei ragazzi di mezzo mondo), dall’altro le prime fanzines britanniche – e qualcuna negli USA – tentano di dare vita a un non-giornalismo di stampo antagonistico. Storicamente, in Inghilterra il veicolo fanzine data agli anni ‘30 con varietà di contesti, ma l’improvvisa ondata di giornali fotocopiati nella Perfida Albione impone una realtà nuova: da quell’estate e per un lungo tempo ‘fanzine’ diventa sinonimo di ‘giornale punk’.

In Italia, come sempre, i riverberi di tutto questo arrivano tardi. Ci vorrà un anno buono per vedere le prime fanzines e le prime punk bands, che spunteranno nell’estate 1977. Niente di eclatante, qualche nome in tutto ma sembra già qualcosa, anche se l’interesse reciproco tra i primi punks italiani è un po’ scarso. Ci si fa pubblicità come si può, e più che altro si fanno progetti: creare una scena italiana con i suoi gruppi, locali e fanzines. Ma per fare o dire cosa? Per ora si parla quasi esclusivamente di musica, poi si vedrà. In questa fase cruciale i più attivi sono i fratelli maggiori, i cosiddetti riverniciati, ovvero i reduci trentenni del vecchio underground protofreak.

E i contenuti? L’ Italia del ’77 dà una connotazione politica a tutto. Nella vasta area della Nuova Sinistra – intorno alla quale gravita buona parte del mondo giovanile – il punk è sconosciuto ai più, e alla minoranza colta non piace per niente. Così i contenuti espressi dalla Nuova Onda (noia, povertà e voglia di scioccare sbandierate da qualche individualità eccentrica, che sfociano inizialmente in un nichilismo un po’ a un tanto al chilo) vengono sdegnosamente ignorati. Mentre i braccialetti di perline con la scritta ‘Punk’ fanno la loro comparsa da Fiorucci, ci si limita a una domanda: ma i punks sono di destra o di sinistra? E’ l’inizio di un equivoco che durerà per qualche mese. Nei primi dibattiti (“Nooo! Il dibattito noo!!”, implorava nel 1976 il Nanni Moretti di ‘Io Sono Un Autarchico’), la realtà di fondo vede una netta divisione tra punks della prima ora, tutti teenagers o poco più, e i trentenni un po’ tristi di cui sopra. I quali dopo il sovrano disprezzo iniziale provano comicamente ad annettersi il cosiddetto ‘movimento punk’, utilizzando modi e vocabolario da figli dei fiori rincoglioniti. Una volta falliti i tentativi di derive destrorse, a sinistra si riconsidera la faccenda perché il terrore dei riverniciati è uno solo: restare indietro. Lo resteranno comunque.

Quando tra l’estate e l’autunno ’77 in Italia compaiono le prime fanzines – quasi esclusivamente al nord, con rare eccezioni nel centro Italia – ci sono già cordate e clan: ridicolo, ma vero. La stampa ufficiale italiana inizia a occuparsi esclusivamente del lato folkloristico della ‘moda punk’ (i vestiti, i capelli, le spille da balia ecc.): alcuni reportage-spazzatura di periodici tipo Gente, Oggi, Novella 2000 e compagnia sono tuttora illuminanti. Un unico aspetto parallelo unisce l’Italia a UK e USA: come i loro colleghi oltremanica e oltreoceano, dopo avere deriso il punk i cosiddetti veri musicisti, giornalisti e addetti ai lavori tricolori all’improvviso flirteranno comicamente – e per anni- con un immaginario tardo-new wave più consono al gusto italico e ben visto dai fratelli maggiori, con risultati esilaranti: la riverniciata in chiave Nuova Moda dei Carlo Massarini e dei Roberto D’Agostino, l’improvvisa identità neo-mitteleuropea di Matia Bazar e Orme o le foto di Eugenio Finardi con giubbetto alla Fonzie, occhialetti wraparound e lingua dei Rolling Stones bene in vista (del tipo “Adesso vi faccio vedere io”) in ottica trash valgono tanto oro quanto pesano. Fatti i conti, cosa produce da noi il sorgere di spille da balia, collari e catene? Semplicemente, che nessuno in Italia si è mai arricchito occupandosi di punk, il che preserva tuttora all’argomento una certa purezza d’intenti. In quanto al resto, tutti i fenomeni che si sono avvicendati negli anni a venire – dai revivals ai nuovi trend – hanno consegnato alla storia la sola verità: l’Italia era, è e resterà in sostanza un paese di locali da ballo.

Questo libro è un omaggio al periodo più interessante della saga del punk italiano, quello a cavallo tra il tardo 1977 e il 1981. Cioè il quarto d’ora d’avventura – in molti casi l’ unico – nella vita di un manipolo di carbonari, tra ingenuità, stupidaggini e qualche autentico colpo di genio, soprattutto sotto l’aspetto grafico. Che è poi quello che hanno tramandato ai posteri quei fogli, saccheggiati ancora oggi da pubblicitari, grafici di professione e diligenti fratelli minori. Ovviamente, la molla che spinge a fare una fanzine non si è  esaurita a fine 1981: è proseguita e continuerà con tutti i mezzi a disposizione, almeno finchè ci sarà un nuovo carbonaro pronto a sposare la causa della Cospirazione. Se mai più ce ne sarà una.

di Eletttro e Glezos
(pubblicato per gentile concessione degli autori, estratto del libro
‘PUNK ALLA CARBONARA – 1977-1981: l’Italia sotterranea attraverso fanzines, stampa & dischi’, di Eletttro & Glezos, edito da Avec Les Punks. Per acquistare il libro via posta, scrivete a aveclespunks@hotmail.it – Chi vive a Milano può trovarlo nei negozi Metropolis 2 (via Procaccini 7) e Dischi Volanti (Ripa di P.ta Ticinese 47)

Nella seconda metà degli anni ‘70 l’ esplosione del punk ha riverberi anche in Italia, dove tra il 1977 e il 1981 nuclei di carbonari producono una quantità insospettabile di fanzines, giornali, dischi, articoli, libri e dibattiti. Questo libro, realizzato come una fanzine (scritte a mano comprese), documenta attraverso l’esteso archivio degli autori gran parte di una prima scena che pochi conoscono. Comprende estratti e riproduzioni da 35 fanzines -circa 200 copie consultate-, 31 testate giornalistiche, 15 libri, discografia dettagliata (71 titoli), oltre 200 illustrazioni, schede e un indice di 212 voci.

“La pubblicazione più completa, appassionata e soprattutto credibile mai uscita sul primo punk italiano. Nelle 280 pagine di questo monumento al Do It Yourself c’è tutto quello che occorre sapere. A molti il punk cambiò la vita, leggete questo libro e capirete il perché. Fondamentale”. (Rumore)

“Mai come in questo caso il risultato premia tanta attesa. Il sogno proibito di ogni amante di punk rock”. (Vida)

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