Campioni a chilometro zero

3 Novembre 2012 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla Brusada di via Caprilli, una delle cascine milanesi che il Comune, così distante da chi certe cose le brucia a prescindere, vuole salvare, ristrutturare, un centro agricolo nel cuore della città per vendita prodotti a chilometro zero. Un po’ la speranza ormai perduta del basket e di molti altri sport per  dare al pubblico campioni a chilometro zero, o quasi, insomma gente cresciuta con la biada del centro dove è stata istruita. Ottimismo di chi deve sorridere con il piombo nelle viscere come il grande Machado, ma non costa niente credere in qualcosa che ti darebbe comunque sollievo, poi, cara gente, non è sempre casta, non è sempre eredità benemerita mai meritata, ci sono anche cose che nascono da una passione interiore ed è di pochi giorni fa la delibera per intitolare, definitivamente, il campetto di via Dezza a Mario Borella maestro per generazioni. Suggerimento estemporaneo al Petrucci o a chi per lui: girando per campetti, di calcio, di basket, si vedono tanti ragazzini maleducati, parliamo di tecnica, perché non far girare allenatori volontari che abbiamo a cuore la cosa, gente capace di correggere, indirizzare, creare un’idea di squadra? Ma nei playground americani esiste questa figura? Esiste nella storia tramandata attraverso il racconto e l’esempio. Spesso i campioni tornano all’origine senza il codazzo degli sponsor che qui fanno passare per San Francesco anche Dracula.

Ma torniamo al  Borella campo di via Dezza. Grazie zona 7. Grazie Lanzetta, grazie Cappellari. Grazie ha chi ci ha lavorato e chi ha creduto davvero, anche se eravamo arrivati al punto di travestirci, come i graffitari imbrattatori, per  andare nella notte ad inchiodare una targa sull’albero che sorride al campetto. C’è gente che ama davvero. Peccato che ci siano in giro cinici con il portafoglio del genio e le raccomandazioni di chi non li conosce, perché se così fosse, li eviterebbe, incapaci di capire come respira questa città crudele che si chiama Milano, crudele come tante altre, perché non c’è una pressione diversa dove devi confrontarti col passato, col presente, dove devi dimostrare che hai idee chiare sul futuro.

Fine settimana, avete fretta. Pillole per togliere il bruciore di stomaco, per accompagnarvi verso la prima sfida dell’anno fra Siena e Milano che guardano all’orizzonte con l’utopia di essere ancora loro le  duellanti nel reame di cestolandia. Meglio che facciano attenzione, anche se il tempo è a loro favore perché  chi ha poche munizioni  e viveri scarsi, prima o poi, avrà  un calo degli zuccheri sapendo che lorsignore potranno correggere tutto perché sanno già dove bussare in caso di pericolo. Più Milano della Siena che ha dimezzato le spese nel bilancio. Infatti nel pensatoio del Lido, zona minigolf, stanno pensando di aver sbagliato a prendere Stipcevic, si domandano se la vita di Cook, in campo e fuori, sia da vero capitano, per cui caccia al regista che possa moltiplicare il pane e i pesci  ben oltre il talento del Langford dagli occhi di velluto e del principe Hairston. Per il Montepaschi le cose sono già andate male con la visitazione del santuario dei centri infelici: Eze andava male anche prima dell’infortunio, Kasun è alla ricerca del tatuaggio che gli faccia dimenticare di essere stato una controfigura NBA, un prospetto mai arrivato al paradiso anche se ne aveva tutti i mezzi, anche se Siena potrebbe almeno curare il suo ego spigoloso. Su Sanikidze eravamo perplessi perché esiste la componente misteriosa delle scuole dove gli uomini non sono mai decifrabili, su Kangur rivolgersi al popolo varesino del basket che su di lui ha cento storie interessanti da raccontare, storie che dovrebbero anche piacere al caro Massimo Carboni, l’arguto dal tweet sarcastico, che per amore di Recalcati ci ha fatto sapere che Varese vive sul lavoro del magico Charlie: ne è rimasto uno della sua squadra. Certo che ci sono le orme del micione sulla stella, sulla Varese ricostruita, ma non su questa squadra.

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