Senza generazione

3 Maggio 2012 di Stefano Olivari

‘Le Ultime 5 ore’, di Douglas Coupland, è senza dubbio la peggiore opera del geniale scrittore canadese. Che è entrato nella storia della letteratura e del costume con Generazione X (1991) e poi nei successivi romanzi ha sbagliato pochi colpi: il nostro preferito, in senso anche anticipatorio, è Microservi (1995), mentre dal punto di vista giornalistico si è parlato senz’altro di più di Generazione A (2009). Ma veniamo all’ultimo letto, titolo originale Player One: What Is to Become of Us, edito in Italia da Isbn: le vite incrociate, in un arco temporale molto limitato, di quattro persone  in un bar nelle vicinanze dell’aeroporto di Toronto. Karen, single di Winnipeg che è arrivata all’appuntamento con un uomo conosciuto in chat. Rick, barista che vuole dare una svolta alla sua vita iscrivendosi a un corso motivazionale. Rachel, ragazza bellissima e semi-autistica che alleva cavie da laboratorio e vuole a tutti costi diventare madre. Luke, pastore di una chiesa che è in fuga con 20mila dollari rubati dalla cassa. La vicenda sullo sfondo è interessante: mentre sono tutti nel bar la televisione annuncia che il petrolio mondiale si è in pratica esaurito e nel giro di pochi minuti i voli aerei vengono annullati, le pompe di benzina prese d’assalto e in ogni strada del mondo si combatte una guerra per la sopravvivenza come non avveniva dalla preistoria. Anche perché i soldi all’improvviso valgono zero. Bene caratterizzati anche i personaggi di contorno. Warren, l’uomo della chat, un grezzo incredibile. Leslie Freemont, il guru del corso motivazionale, la quintessenza del cialtrone sicuro di sè. Bertis, un cecchino spuntato con la guerriglia urbana e che poi si scoprirà avere un legame con uno degli altri personaggi. Max, l’adolescente che scatta foto con il cellulare alle cougar tipo Karen. Giocatore Uno, espediente letterario non inedito , anche lui alla fine identificato come uno dei personaggi. Gli intrecci sono scontati e i collegamenti cervellotici vanificano la buona idea di base: raccontare le reazioni di persone che vogliono cambiare vita e uccidere la vecchia, proprio quando tutto sta finendo. La grande domanda che aleggia non è banale: fino a che punto siamo attaccati alle nostre vite, presenti o potenziali? Non va bene tutto il resto, visto che ogni dialogo si trasforma in un pistolotto sul senso dell’esistenza e tutti fanno a gara a chi la sa più lunga. Di solito l’abuso del discorso diretto sta a significare la volontà dell’autore di mascherarsi, ma qui siamo oltre la scelta artistica e la lettura diventa in molti punti un atto di fede in Coupland. Tutto è poi peggiorato da termini tratti un po’ dalla psicologia e molto dalla futurologia cyber, a comporre un glossario francamente noioso. Buono invece il finale, con un futuro positivo intravisto solo in quello stato a metà fra la vita e la morte, ma che non riscatta un brutto libro che a tratti sembra una parodia del romanzo corale (un critico scriverebbe che Coupland vuole ‘destrutturarlo’) e fa rimpiangere la sociologia light di quasi tutte le altre sue opere. Insomma, anche Cristiano Ronaldo e Messi possono sbagliare i rigori.

Stefano Olivari, 3 maggio 2012

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