Il solito pugno di Carlos

30 Aprile 2012 di Stefano Olivari

Giochi Olimpici di Messico 1968, premiazione dei 200 metri: sul podio ci sono il vincitore Tommie Smith, americano nero, il secondo classificato Peter Norman, australiano bianco, e la medaglia di bronzo John Carlos, americano nero. Mentre risuona l’inno statunitense Smith e Carlos guardano verso il basso e alzano il pugno sinistro avvolto da guanti neri comprati dalla moglie di Smith. E Norman solidarizza con loro mettendosi una spilla pro diritti umani. E’ l’immagine simbolo di quei Giochi e di sicuro una di quelle del 1968 che rimarrà nei secoli, con un significato inequivocabile e che del resto è stato più volte spiegato dai protagonisti: noi neri abbiamo vinto, siamo applauditi quando diamo spettacolo al circo, ma nella società normale siamo cittadini di seconda classe. Di questo e di altro John Carlos ha parlato in una bella intervista concessa ad Emanuela Audisio di Repubblica, piena di spunti interessanti ma anche di quel vittimismo anti-sistema che mai ha ribaltato un sistema. Fra gli spunti interessanti segnaliamo il racconto del rapporto controverso con Jesse Owens, che fu mandato dal presidente del Cio Avery Brundage ad ammorbidire gli atleti: Carlos nutre rabbia anche verso di lui, così come verso tutti agli altri neri secondo lui funzionali allo status quo (Foreman, Michael Jordan, eccetera). Di nostro aggiungiamo che la biografia di Carlos non è certo quella di un eversore del sistema e nemmeno di uno che ha combattuto il circo sportivo in cui sono ghettizzati i neri: dopo Messico 1968 Carlos provò a giocare a football nella NFL, nei Philadelphia Eaglles, ma un infortunio al ginocchio lo stoppò quasi subito. Qualche altro tentativo con il football, in Canada, prima di lavorare per la Puma, per il comitato olimpico statunitense ma soprattutto per l’organizzazione dei Giochi di Los Angeles 1984 (dal punto di vista finanziario i migliori della storia, pagati interamente dai privati). Dopo di che è diventato consulente sportivo per la Palm Springs High School, che poi sarebbe anche il suo lavoro attuale. Non è certo il curriculum di Malcolm X, ma il punto è che per Carlos la storia è ferma: la situazione del 1936 sarebbe paragonabile a quella del 1968 ed anche a quella di oggi. Ecco, non è vero. Ma il vittimismo cosmico, senza obbiettivi precisi (‘i bianchi’ è un po’ tanto e al tempo stesso un po’ poco), ha comunque sempre un suo mercato.

Stefano Olivari. 30 aprile 2012

 

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