Zico e il dieci che non vedremo più

28 Febbraio 2021 di Stefano Olivari

Zico è stato uno dei più grandi calciatori di sempre, non ha bisogno di presentazioni e meno che mai di statistiche. L’abbiamo visto giocare dal vivo una decina di volte, ai tempi dell’Udinese, e siamo riusciti a parlargli nel 1989 quando tornò in Italia per un’amichevole. Poi sempre in contesti di conferenze stampa o simili: l’ultima volta dopo un Inter-Fenerbahce di Champions League, quasi 14 anni fa: per l’Inter di Mancini segnò, fra gli altri, Ibrahimovic, e nella squadra allenata da Zico c’era anche Roberto Carlos.

Per questo è stata una grandissima emozione potergli parlare due settimane fa, sia pure attraverso Streamyard, dal Bootleg Pub, nella puntata di ‘C’era una volta O Rei’ organizzata da Tommaso Lavizzari e Alessandro Polenghi, grazie all’amicizia con il fuoriclasse di Alessandro Scarbolo, dell’Udinese Club Zico. Il 68enne Arthur Antunes Coimbra era appena arrivato in Giappone, dove è direttore tecnico dell’amato Kashima Antlers, ed ha risposto a tutte le domande dei partecipanti alla trasmissione, fra i quali Enzo Palladini che su di lui ha scritto un bellissimo libro. Ne proponiamo alcune, non soltanto le nostre, con le risposte (in un italiano rimasto buonissimo) del fuoriclasse.

Cosa avrebbe fatto il Brasile del 1982 con Roberto Dinamite al posto di Serginho?

Non credo nei ‘se’ applicati al calcio. Parlare dopo le partite è sempre facile, ma la verità è che anche Serginho era un grande cannoniere, il posto in nazionale se lo era guadagnato con i gol. Forse in Spagna ha fatto qualche errore, ma non è per colpa sua se abbiamo perso il Mondiale. 

1978 con Coutinho allenatore, 1982 e 1986 con Telé Santana: tre splendide versioni del Brasile di Zico che per motivi diversi non hanno vinto il Mondiale. Quale la sua preferita?

Tre squadre forti, ma senza dubbio quella che ha dato più piacere a noi giocatori e agli spettatori è stata quella del 1982. Quanto alle vittorie mancate, quella con l’Italia è stata l’unica partita che abbiamo perso in tre edizioni del Mondiale. 

A livello di club il migliore Zico si è visto con il Flamengo del 1981?

Forse sì, ma quel Flamengo che vinse la Libertadores e poi la Coppa Intercontinentale contro il Liverpool era formato da giocatori molto forti, quasi tutti cresciuti nel club e quasi tutti, dieci su undici, che avevano o avrebbero giocato in nazionale. La filosofia di gioco non era diversa da quella del Brasile di Santana, ma ricordando gli arbitraggi della Libertadores dell’epoca mi piace definire quella vittoria come la vittoria del calcio sulla violenza. Quella competizione era per i brasiliani sempre difficile, anche per questioni di lingua, per vincerla dovevi davvero essere forte. Contro il Liverpool fu in questo senso più facile, forse ci sottovalutarono. 

A distanza di 38 anni ci può spiegare perché quando lasciò il Flamengo scelse l’Udinese, fra le tante offerte che aveva?

Negli anni e nei mesi precedenti mi avevano cercato in tanti, in Italia soprattutto il Milan: Rivera si era già accordato con il presidente del Flamengo, ma io non volevo partire e lasciare il club per cui ho sempre tifato. Nel 1983 era diverso: avevo 30 anni, il contratto stava per finire, il Flamengo aveva bisogno di soldi ed era l’ultima occasione di guadagnarli con la mia cessione. Era il momento giusto. La verità è che in tanti erano interessati, a parole, ma l’Udinese fu l’unica a presentarsi con i soldi. Edinho era già lì e mi parlò del progetto, io volevo venire in Italia e firmai.

L’inizio in Serie A fu eccezionale, poi già sul finire della prima stagione le cose cambiarono.

Cominciammo benissimo la stagione 1983-84: direi che la vittoria sulla Roma campione d’Italia, con mio gol su assist di Causio, è stato il punto più alto della mia avventura italiana. Nessun problema di ambientamento, mi abituai subito anche al freddo: non avevo mai vissuto in una casa con un termosifone, non avevo idea di come funzionasse e me lo spiegò Dal Cin. I compagni, soprattutto il primo anno, erano forti e mi trovai quindi in un buon ambiente. Poi purtroppo le cose peggiorarono, anche a livello societario, con Mazza e Dal Cin che si facevano sentire sempre meno. Peccato, perché mancammo di poco la qualificazione alla Coppa UEFA. 

Zico come giocatore e soprattutto allenatore ha girato mezzo mondo, dieci paesi diversi, e il secondo grande amore dopo il Brasile è il Giappone: come è iniziato tutto?

Mi ero ritirato dal calcio, ormai avevo 37 anni, ed ero entrato in politica diventando segretario generale dello sport, l’equivalente di un ministro dello sport, con il presidente Collor de Mello. Poi in occasione di un’amichevole per beneficenza in Giappone ricevetti un’offerta da parte del club che poi sarebbe diventato il Kashima Antlers, per giocare nella serie B giapponese. Non avevo bisogno di soldi ma il richiamo del calcio giocato, del campo, fu più forte di tutto. Sono orgoglioso del fatto di avere aiutato il lancio del calcio professionistico in Giappone, ma soprattutto sono grato per l’amore ricevuto. 

Perché non ha mai allenato il Brasile?

Mi è stato proposto in diverse epoche, ma non ho mai voluto perché amo la nazionale ma in Brasile sono identificato più con il Flamengo. Fuori dal Brasile non è così, ma in Brasile invece sì. Secondo me l’allenatore delle nazionali non deve mai essere legato troppo ad un club. 

Qual è il difensore che l’ha picchiata di più?

Non ho mai avuto problemi con le marcature strette, il difensore fa il suo mestiere e di quelli che mi hanno picchiato nemmeno mi ricordo il nome. Sono invece ancora adesso arrabbiato con gli allenatori che a bordocampo chiedevano di fare male, ce n’erano tanti. 

Più facile giocare adesso, per un giocatore tecnico?

Penso proprio di sì. Al di là della tattica, penso che chiunque preferisca essere controllato a zona che a uomo. Nella mia epoca era difficile anche soltanto girarsi…. e i campi? Ma ve li ricordate certi campi? Io me li ero scordati, dopo tanti anni… Ho visto di recente le immagini di un Udinese-Inter dei miei tempi, su You Tube: non c’era l’erba! Era già un problema controllare il pallone.

Chi nel calcio di oggi assomiglia di più a Zico?

Nessuno, ma non perché manchino i calciatori forti. È che la mia posizione proprio non esiste più: nessuno nel 2021 può giocare da 10, rimanendo libero da compiti fissi di regia e senza fare la seconda punta. Forse in certe situazioni Messi ha avuto le mie stesse possibilità, ma anche lui alla fine si è dovuto adattare. 

Meglio Zico o Maradona?

Fare paragoni è sempre difficile, anche fra giocatori della stessa epoca. Di sicuro la nostra rivalità era montata, come sempre quando ci sono di mezzo Brasile e Argentina. Per me Maradona è stato il migliore e glielo ho sempre detto di persona. Quando siamo diventati entrambi ex calciatori il nostro rapporto è diventato di amicizia ed ogni volta in cui lo vedevo la mia prima battuta era ‘Diego, sei il più grande ma in campo non mi hai mai battuto’. Sono davvero tristissimo per la sua morte e per come ci è arrivato. 

Meglio Maradona o Pelé?

Quando Dio ha pensato ad un giocatore di calcio ha pensato a Pelé: gli ha dato tutto. Pelé è il simbolo del calcio, ma io personalmente ho sempre preferito Maradona. Avevo più affinità con lui.

Da cosa nasce il rispetto che Zico si è guadagnato in tutto il mondo, più di altri fuoriclasse?

Non lo so. Forse mi ha aiutato il fatto di avere due fratelli calciatori, che mi hanno insegnato a rispettare gli altri e che nel calcio può cambiare tutto, da un momento all’altro: mai dare per scontato qualcosa. So benissimo che ancora oggi la gente mi guarda in modo diverso, per quello che facevo in campo, ma ho sempre cercato di essere uguale con qualunque interlocutore: compagno, avversario, tifoso, giornalista.

Quale era il sogno dello Zico bambino?

Ne avevo solo uno: giocare con la maglia numero 10 del Flamengo. Non per i soldi o per le vittorie, ma per giocare nel Flamengo. Dio è stato molto generoso con me.

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