Zetazeroalfa, quando la recensione sembra eversiva

29 Marzo 2019 di Italo Muti

Fare la recensione di un concerto degli Zetazeroalfa sembra una cosa quasi eversiva e quindi il liberale Direttore di Indiscreto l’ha chiesta a noi, partendo proprio dalle basi: “Scusa, chi sono gli Zetazeroalfa?”. Si era infatti scritto tanto del concerto del 23 marzo degli Zetazeroalfa a Milano, della marcia dei nazifascisti che si sarebbe dovuta tenere nel centenario della nascita dei fasci di combattimento, dei barbari che avrebbero dovuto mettere a ferro e fuoco la città, eccetera. Tanto che le preoccupazioni si sono sparse oltre la cerchia dei lettori di Repubblica e addirittura qualche altro giornalista se ne è interessato. Così dietro spinta di Sala non ancora preso dal nuovo San Siro, Majorino, Boldrini e Anpi varie, il questore ha vietato la marcia organizzata da Casa Pound nel centro della città. La cosa divertente è che hanno vietato una cosa che non è mai esistita, in quanto la manifestazione non è mai stata richiesta né tantomeno organizzata violando un divieto. Alla fine il vero problema era il concerto per i 20 anni degli Zetazeroalfa. O per meglio dire, il problema era e rimane il pubblico degli Zetazeroalfa. Indigesto anche all’elettore medio di destra, per quello che abbiamo potuto capire, più sensibile ai temi economici che al richiamo della Patria.

Detto questo, parliamo del concerto di un gruppo rock che da due decenni ha un clamoroso successo di pubblico dal vivo, anche se non li avete visti e non li vedrete mai a Sanremo. Né li ascolterete sulle radio mainstream, quelle con le playlist dettate dal marketing e che si accorgono delle tendenze soltanto quando i loro esponenti salgono sul palco dell’Ariston (ultimo esempio i trapper). Tante le sensazioni che sono nate nella poco ridente via Toffetti, posto dove esistono solo magazzini abbandonati, in quel sud-est di Milano che magari fra un secolo verrà riqualificato a beneficio di di creativi, manager e gente che (si) piace. Per arrivare vicino alla location (dicendo location ci sentiamo più a Milano) del concerto, la fermata della metro giusta era Porto di Mare, linea gialla, dove di solito scendono (giustamente) pochissime persone, o nessuna. Alle 18.30, prendendo la scala mobile che porta all’uscita, ci infiliamo in un gruppo di 30-40 persone, uomini e donne vestiti di nero e dall’accento inequivocabilmente romano.

Porto di Mare, nella sua storia di fermata metro, non ha mai avuto tanto traffico, né un concerto a Milano ha mai avuto presente tanta gente di paesi così lontani, in proporzione agli italiani. Tedeschi, spagnoli, ungheresi, solo per citare persone con cui abbiamo parlato. Dopo una passeggiatina, vedendo l’assembramento di persone, si capiva subito quale fosse il magazzino del concerto. Magazzino? Be’, certo, gli Zeta comunicano via mail il luogo del concerto solo la mattina stessa della data e in luoghi solitari, quasi fosse un agreement con le autorità che non vogliono casini in città. Sbagliando in maniera grossolana, perché una cosa o è legale o non lo è. La gente che abbiamo incontrato lì voleva solo musica, la loro musica, e la loro identità. Fortissima.

La scaletta prevede FdP, Ultima Frontiera, SPQR, Zetazeroalfa, Bronson e DDT, fino alle 3 di notte, e vista la nostra età, ci domandiamo come farcela… Poi dopo una telefonata personale che da breve è durata 49 minuti e che ha reso la serata ancora più esaltante, ci mettiamo in fila per entrare. Due i controlli del biglietto, con tanto di contromarca sul polso destro, come nelle discoteche dei nostri tempi. Passato pure il secondo controllo, ci accingiamo ad entrare quando veniamo attratti da un poster con il seguente slogan: ‘0% droga 100% identità’. È un messaggio eversivo? Di solito ai concerti abbiamo visto lanciare il messaggio contrario. Un giro per ambientarsi, ignorando la maledizione del gruppo di apertura. La gente mangia e beve birra.

Ad un certo punto sale sul palco Gianluca Iannone ed inizia a cantare con loro. Il cantante degli Zeta porta in sala un po’ di gente che incomincia ad ascoltare il gruppo in questione. Anche se la gente aspetta gli Ultima Frontiera, band giuliana che ha portato al concerto un nutrito gruppo di persone dal Veneto e dal Friuli Venezia Giulia. Trincee, Alta Tensione, Schiavo delle Libertà, e subito la sala è partecipe. Un rock alternato ad un heavy non sempre troppo veloce, testi che parlano di arditi, prima guerra mondiale, di arresti, di amore, di banche, di rivoluzione. L’acustica non è delle migliori, ma si sente bene il cantante, circa 2 metri, che tiene gli spettatori vicini, senza forzare più di tanto, mentre le chitarre girano a dovere. Si arriva al clou, Trieste 1953, e la gente si infiamma. Parte con un arpeggio e poi le parole. Si sente il richiamo della Patria e della storia. Ci si ritrova a cantare anche se la canzone si sviluppa in una ballata elettrica, fino al refrain principale dove irrompono le chitarre all’unisono. Guerra ai nemici della mia terra. Ti ritrovi abbracciato a sconosciuti quando parte Terra Rossa, e la commozione aumenta, perché ogni vero italiano è anche dalmata e giuliano. Non c’è la chitarra acustica, ma quelle elettriche. La melodia ti porta laggiù nella terra rossa, terra pazzamente amata. Dal fondo parte un ‘Tito boia’, ma dura poco. Inizia Il ballo dell’Antifà e si saltella tutti, in sintonia, per arrivare stanchi alla chiusura con Arditi Sentieri, marcia che poi si velocizza con la batteria che alza la cadenza, e dopo, in molti a bere birra.

Finalmente l’evento vero e proprio. Gli Zeta. Intorno alle 22 eccoli sul palco ad aggiustare gli strumenti: il momento topico è arrivato. La prima impressione è la seguente: ma quanto cazzo sono alti? Dr Zimox, uno dei chitarristi 1,95 come minimo e Gianluca Iannone 1,90… Attaccano con i vecchi pezzi, Zetazeroalfa in primis, la loro musica è un misto di hip hop con accenni a sonorità ska, poi a seguire, hardcore e rock duro, ballate e rock più tradizionale, con molta potenza nel basso a 5 corde che Purghenzio suona con maestria. Usano distorsioni e wha wha, vanno sempre alti di ottava e la batteria, usando solo tre piatti, tiene il ritmo sempre metallico. Si susseguono le canzoni in sequenza mentre sotto il palco stanno pogando senza tregua, ovviamente a torso nudo.

Dall’album Disperato amore, il più rock tradizionale del gruppo, ne arrivano tre, tra cui quello omonimo dell’album che raccoglie un enorme tributo per poi passare a quelle del più recente, di due anni fa, Morimondo. Testi sanguigni dove si ripete sempre lo stesso dubbio, Fender o Gibson per le chitarre, mentre un basso potentissimo attacca Marcia o Crepa. Dopo aver eseguito Luci blu e In nome mio, passano a Nel dubbio mena e si apre anche una seconda area dove vanno a pogare anche le donne, quando all’improvviso ci arriva addosso un mezzo armadio tatuato. Vedendo i tatuaggi inneggianti alla Germania pensiamo con perspicacia che sia tedesco, ma poi mi dice “Scusa, zio can”. Era veneto. Iannone chiama allora sul palco Di Stefano, segretario di Casa Pound, sottopalco a pogare pure lui. Ultima canzone e poi, nonostante altri due gruppi, usciamo e ce ne andiamo a casa contenti per avere vissuto un’esperienza insolita. Non abbiamo mai avuto la sensazione di toccare il portafoglio per vedere se ci fosse ancora. In tutti gli concerti visti a Milano, da quelli per intellettuali a quelli disimpegnati, l’avevamo sempre fatto.

Riflessione finale. Gli Zetazeroalfa hanno idee politiche di estrema destra ed un pubblico che in buona parte ha le stesse idee, facile pensare che Casa Pound in quel magazzino potesse avere almeno il 70% dei consensi, con il restante 30% diviso fra amanti dell’underground e del maledettismo. Del resto il rapporto fra Casa Pound e il gruppo è sempre stato sbandierato, in senso letterale. È stupido girarci intorno: a noi la loro musica piace, ma non si va ai loro concerti come si andrebbe a sentire Nek o la Pausini. Il problema è quindi ciò che dicono: va vietato? Se sì, che cosa esattamente? Perché non abbiamo sentito discorsi razzisti o inneggianti alla violenza, ma semmai a un certo tipo di eroismo o di amore per la Patria. Siccome ci piace chiamare le cose con il loro nome, poniamo anche un’altra domanda: gli Zetazeroalfa sono fascisti? O meglio, fanno apologia di fascismo? Visto che parlano di valori e storia, più che fare politica in prima persona, il confine è molto sottile. Senz’altro se Casa Pound può presentarsi liberamente alle elezioni non vediamo perché gli Zetazeroalfa non possano suonare di notte in un magazzino dimenticato.

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