Zeman-mania, senza sigarette e senza Juventus

7 Luglio 2015 di Paolo Sacchi

Trecento persone, forse anche molte di più. Per un’amichevole precampionato, in piena estate, su un campetto laterale, contro un’avversaria formata da dilettanti, a Lugano erano anni che non si vedevano. Anzi, probabilmente non si erano mai viste. Per non dire la singolare presenza di decine di tifosi agli allenamenti. “Al massimo eravamo in tre o quattro”, racconta Mario, abbonato da anni alla squadra tornata a giugno nella massima serie svizzera dopo un’assenza durata tredici stagioni. Pochi dubbi, la Zeman-mania ha attecchito anche in Canton Ticino. Così, sarà pure che in campo ci sono gli idoli locali Bottani e Rossini e i nuovi giovani arrivati dal Milan, ma a Cornaredo tutti sembrano essere lì per il tecnico boemo. Giovani in maglietta e colletti bianchi appena usciti dall’ufficio, ultras e anziani: nessuno di loro ha voluto mancare la possibilità di vedere i primi frutti del lavoro di un tecnico unico nell’immaginario collettivo, che a sorpresa è arrivato sul Ceresio.

Anche se con naturale connotazione elvetica – ovvero con sobrietà e misura -, entusiasmo, curiosità e soddisfazione sugli spalti sono palpabili, così come è già copiosa l’aneddotica. In tanti sono quelli che si sono già voluti gustare una seduta d’allenamento e ognuno ha qualcosa da raccontare, da “Lunedì li ha fatti lavorare mezzora solo sui rilanci del portiere!” a “Invece avreste dovuto vederlo mercoledì: gli ha fatto fare otto ripetute sui quattrocento metri. Otto!”. Con buona pace di Bordoli, il tecnico della promozione, l’arrivo di Zeman è stata una vibrante scossa positiva in una piazza che in epoca recente troppe volte era rimasta scottata. Dopo il fallimento del 2003 e il suicidio sportivo nel 2010 durante la presidenza Preziosi (la promozione in Super League buttata via dilapidando prima un enorme vantaggio sul Thun e poi perdendo lo spareggio col Bellinzona) a Lugano finalmente ci si stropiccia gli occhi per ragioni più allegre.

La squadra oggi è ancora un cantiere aperto ed è chiaro che serviranno iniezioni di qualità tecnica. Per molti, però, a iniziare dal presidente Renzetti, la carta potenzialmente vincente, il jolly nel mazzo, è proprio lui: Zeman. Mentre passeggia sul lungo linea – niente sigaretta, in Svizzera è vietato – seguendo silenzioso le prime verticalizzazioni e gli scambi di posizione tra le punte in fase di possesso, al pubblico si illuminano gli occhi. L’attesa nel veder ripetere tutto questo e molto più contro Basilea, Grasshoppers e Young Boys è evidente. Dal lato opposto del campo, Renzetti osserva interessato: chissà che, come a Foggia, Pescara e in tante piazze italiane, questa non sia l’occasione della vita per la carriera di qualche giovane – e di riflesso per le casse sociali. Che non sarà un torneo facile per il Lugano tutti l’hanno messo in conto. Però, come ha detto un tifoso, “se poi proprio dovremo retrocedere, meglio farlo divertendoci”. Entusiasmo puro per un allenatore che in Italia è un  bersaglio fisso per juventini e un feticcio per anti-juventini, ma che senza le sovrastrutture del tifo è invece considerato un autentico uomo di sport, che fa sognare già con il semplice lavoro sul campo.

Paolo Sacchi, da Lugano (in esclusiva per Indiscreto)

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