Wanna, quando i coglioni vanno inculati

24 Settembre 2022 di Stefano Olivari

Abbiamo guardato con interesse le quattro puntate di Wanna, la serie di Netflix sulla vita e sulle opere della televenditrice più famosa d’Italia, emersa negli anni Ottanta ma diventata vero culto nei Novanta, quelli del Maestro Do Nascimento e del business della fortuna aggiunto a quello della cosmesi trash. Un lavoro, quello di Alessandro Garramone, rivolto a chi di Wanna Marchi non sa niente ma apprezzabile anche da chi l’ha seguita in televisione, fin dai tempi di Rete A, e attraverso le cronache giudiziarie. Dal punto di vista ideologico il giusto equilibrio fra la storia della donna che si è fatta da sola e quella delle persone da lei truffate o come minimo prese in giro.

A dominare la scena è ovviamente lei, con interviste realizzate oggi, anche se il personaggio più inquietante è la figlia Stefania, che con la madre ha vissuto quasi in simbiosi, diventandone la sua versione più dura e cattiva. Con spiegazioni fondate, come il rapporto con il primo marito (e per Stefania padre), Raimondo Nobile, unito alla enormi difficoltà finanziarie degli inizi, ma anche un qualcosa di misterioso che nella docuserie non è venuto fuori e che forse mai si capirà. Fra l’altro in Wanna c’è un grande assente, sia come intervistato sia nella narrazione, e cioè l’altro figlio Maurizio, suo collaboratore negli anni Ottanta almeno al pari di Stefania e poi sparito dal video e dalle aziende (per sua fortuna, con il senno di poi).

Un grande colpo avere ripescato Do Nascimento a Bahia, dopo tanti anni in cui aveva interrotto ogni rapporto con l’Italia e soprattutto con la coppia Wanda-Stefania. Ma l’ex cameriere del marchese Attilio Capra de Carré (personaggio tutt’altro che minore, al contrario di ciò che pensavamo, con buoni agganci nel mondo di Berlusconi), prima definito mago e poi maestro di vita, non aveva in realtà molto da dire. Il brasiliano non è un ingenuo ma nemmeno la mente delle varie truffe, semmai uno che ha avuto un colpo di fortuna ed è scappato al momento giusto. Nella serie abbastanza poche le vittime e non è difficile capire perché, visto che il primo sentimento del truffato è quello della vergogna (e in Italia, dove la furbizia è un valore, anche di più). Però di certo Wanna non è un’agiografia di Wanna Marchi, anzi.

A contestualizzare ogni fatto Stefano Zurlo, che su questa vicenda ha anche scritto un libro, ma al di là di una storia giù nota colpiscono i personaggi di contorno, come Milva Magliano, ed il fatto che Wanna Marchi sia tuttora convinta di essere nel giusto. “I coglioni vanno inculati” è una battuta bellissima ma anche un atteggiamento diffuso: come credete che nelle banche, nelle assicurazioni, nella ristorazione, nei media, nella medicina, eccetera, molti addetti ai lavori, quando sono senza filtri, parlino dei loro clienti?

Fra l’altro è molto facile fare la morale a Wanna Marchi, che rimane una truffatrice ma che è anche una donna con la quinta elementare che ha molto lottato, mentre tanti prodotti presunti seri che ci sono sul mercato sono truffe non meno dello scioglipancia o degli amuleti. Religioni durate secoli ed ancora con buona stampa hanno un impianto logico alla Do Nascimento, ma anche chi non ci crede le prende sul serio. E nelle farmacie vediamo cose paragonabili alle alghe di Wanna Marchi, senza che i truffati protestino.

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