Una vita in azzurro, la notte magica di Azeglio Vicini

30 Giugno 2017 di Indiscreto

Nel 2017 una semifinale all’Europeo Under 21, sconfitti dall’espressione del miglior settore giovanile del continente, è stata presa come una delusione dagli stessi media che sparavano valutazioni di decine di milioni per ragazzi promettenti ma poco più, come se le valutazioni fossero colpa di Di Biagio. Ma c’è stata un’epoca in cui le Under italiane prendevano mazzate praticamente da chiunque, pur continuando a produrre giocatori validi per la nazionale maggiore. Questa tendenza fu invertita da Azeglio Vicini, negli anni Ottanta, grazie anche a una generazione indimenticabile (Vialli, Mancini, Donadoni, De Napoli, Ferri, Giannini) che immediatamente alle spalle aveva quella dei Baggio e dei Maldini.

Di questo e di tanto altro calcio si parla nell’autobiografia del commissario tecnico azzurro di Italia ’90, intitolata ‘Azeglio Vicini – Una vita in azzurro’ (Goal Book Edizioni, scritta insieme alla moglie Ines Crosara e al figlio Gianluca). Lo schema, lunghi virgolettati di Vicini in mezzo a parti descrittive, è giustamente semplice e di facile lettura, ma il problema è il contenuto. Poco personale, di poco superiore a quello che qualunque giornalista avrebbe potuto scrivere con qualche ritaglio d’archivio, un elenco di episodi e situazioni senza rielaborazione non diciamo critica, ma almeno emotiva. Un tono in linea con il carattere di Vicini, ma che certo non ha aiutato a dare brio al tutto.

La parte secondo noi più interessante è quella del Vicini antico, centrocampista classe 1933 di buona tecnica ma di poca forza fisica, che di pura intelligenza si costruisce una bella carriera fra Vicenza, Sampdoria e Brescia. Avere conosciuto benissimo personaggi del calibro di Bela Guttmann (definito ‘L’estroso tecnico ungherese’) ed Eraldo Monzeglio avrebbe potuto fargli aprire tante parentesi di grande spessore, ma purtroppo in molte parti il libro sembra un mero elenco di nomi. A onore dell’opera va detto che tutto sembra Vicini puro, senza ‘pettinature’ alla Moehringer. Con il racconto dei decenni passati nella Federazione, con sei Mondiali visti da dentro (osservatore per Valcareggi e Bearzot, quando era già guida dell’Under 21, poi c.t. in prima persona) ci sarebbe stato materiale per 200 libri, ma si capisce chiaramente che Vicini vuole arrivare velocemente al Mondiale italiano, per tutti noi un tenero ricordo delle notti magiche di un’estate italiana ma per lui la differenza fra una pacca sulla spalla e la gloria eterna.

Qui ribadisce un concetto più volte espresso: quell’Italia non era la squadra più forte del mondo, quindi il terzo posto del 1990 non può essere archiviato come una delusione. Superiori ci erano la Germania Ovest, il Brasile e l’Olanda eliminati agli ottavi, forse anche l’Argentina che aveva pochi campioni ma anche il giocatore più forte di sempre (anche secondo Vicini), sia pure in condizioni fisiche precarie, e l’Inghilterra battuta nella finale per il terzo posto. A giudizio dell’ex c.t. se l’Italia avesse giocato a Roma anche la semifinale, così come le partite del girone e quelle di ottavi e quarti, l’entusiasmo del pubblico avrebbe aiutato gli azzurri a superare anche l’Argentina e a giocarsi poi la finale contro la squadra di Beckenbauer. Non è certo una valutazione tecnica, anche perché fisicamente quell’Italia stava andando in calando e di partita in partita faceva sempre più fatica a trovare la porta. Quell’uscita di Zenga su Caniggia, che chiuse in maniera emblematica i nostri anni Ottanta, fu importante almeno quanto il mancato utilizzo di Baggio dal primo minuto, o la giubilazione di un Mancini che aveva sempre difeso e che era al massimo della forma, in favore di un Vialli mezzo infortunato.

Di sicuro quella Nazionale fu amata da quasi tutti gli italiani, a differenza di molte di quelle che sarebbero seguite, per la semplice ragione che il suo commissario tecnico romagnolo veniva percepito come espressione dell’Italia e non di un club o di più club. Non un condottiero che lanciava proclami, ma una persona normale che avremmo voluto come zio e dalla quale avremmo comprato un’auto usata. Volendo leggere fra le righe, non si avverte un grande calore nei confronti di Bearzot, ma soprattutto di Matarrese e Sacchi, vista anche la modalità con cui l’allenatore esonerato da Van Basten fu scelto al suo posto, prima ancora che l’Italia venisse eliminata dall’Europeo. Con quel palo di Rizzitelli a Mosca le notti magiche finirono ufficialmente, ma l’Italia di Vicini rimarrà per sempre un bellissimo ricordo.

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