Vatican Girl, la fine di Emanuela Orlandi

26 Ottobre 2022 di Stefano Olivari

La scomparsa di Emanuela Orlandi, il 22 giugno 1983, è uno dei più grandi misteri della storia italiana del dopoguerra. Non perché la scomparsa di una ragazza sia una rarità, purtroppo nel solo 2021 e nella sola Italia sono scomparsi ben 12.117 minori (dei quali 3.324 italiani, con un tasso di ritrovamento del 79,27% contro il 26,35% per gli stranieri), ma perché questa tragedia ha generato il peggiore complottismo in un’era in cui nemmeno si poteva dare la colpa al web. Più che le indagini è secondo noi questo il tema di Vatican Girl – La scomparsa di Emanuela Orlandi, la docuserie in quattro puntate da un’ora l’una che abbiamo appena finito di guardare su Netflix.

Mark Lewis nel suo lavoro non prova ad arrivare dove in quasi quarant’anni non sono arrivati eserciti di magistrati, giornalisti e poliziotti, anche se alcune delle tante interviste gettano una luce nuova su fatti straconosciuti. In particolare la testimonianza della compagna di scuola di Emanuela, a volto nascosto, induce a pensare alla pista più tristemente logica per il rapimento di una quindicenne: quella sessuale di tipo predatorio, con Emanuela che avrebbe confidato all’amica di essere stata molestata, mentre camminava nei giardini vaticani, da “Una persona molto vicina al Papa“. Comunque sia, il rapimento per questi motivi non è mai stata fra le prime ipotesi degli inquirenti e ci chiediamo il perché.

All’epoca Papa era Giovanni Paolo II, il cui braccio destro per le questioni finanziarie era Paul Marcinkus, presidente dello IOR, cioè la banca vaticana. Mettere insieme tutto questo ai finanziamenti occulti a Solidarnosc, al Banco Ambrosiano, alla morte di Calvi, all’attentato al Papa del 1981 per mano di Ali Agca, alla mafia, alla banda della Magliana e shakerare: così è stato per troppo tempo il caso Orlandi, dando credito ad ogni tipo di cialtrone o di mitomane, gruppone in cui spicca la figura di Marco Accetti, con tanto di collegamento al rapimento di Mirella Gregori avvenuto qualche settimana prima rispetto a quello di Emanuela.

Vatican Girl ha il merito di dare un ordine a tutto questo, evidenziando le due costanti: il ricatto al Vaticano e forse allo stesso Papa, portato avanti magari all’interno del Vaticano (stato di cui Emanuela Orlandi era cittadina), e la presenza della Banda della Magliana di Enrico ‘Renatino’ De Pedis, in certi scenari semplice manovalanza ed in altri più protagonista: la testimonianza di Sabrina Minardi, ex donna di De Pedis (ed ex moglie di Bruno Giordano, citazione pop che nel documentario non si fa, seconda soltanto all’amicizia della ragazza con un giovane Jovanotti), non è inedita ma fa sempre impressione. Così come il documento interno della Santa Sede trovato da Emiliano Fittipaldi, con una rendicontazione segreta di spese sostenute per la Orlandi fino al 1998. In altre parole, per almeno 15 anni Emanuela è rimasta in vita o comunque si sono sostenute spese per gestire il suo caso.

Consigliamo quindi Vatican Girl sia come ripasso sia a maggior ragione a chi non ha mai sentito nominare Emanuela Orlandi, perché ha un ottimo schema anche se in alcune parti (quelle in cui viene intervistato Andrea Purgatori sembrano il Bignami di Atlantide) vengono ripetuti gli stessi concetti. Lo strazio è anche per la famiglia Orlandi, con la madre sopravvissuta fino ad oggi alla scomparsa di una dei suoi cinque figli, con il fratello Pietro pronto a percorrere ogni strada e capace di ottenere di ottenere da Papa Francesco un gelido, magari non nelle intenzioni ma nei fatti sì, “Emanuela è in cielo“. Troppe le sottostorie e le ipotesi per essere ricordate tutte, e del resto anche in Vatican Girl ne mancano molte (su tutte quella di Emanuela spedita dal Vaticano in un paese islamico e convertitasi: in questa direzione da segnalare il libro di Anna Maria Turi), limitandoci a ciò che abbiamo letto. Uno solo il sogno impossibile: che Emanuela ricompaia, anche se le hanno in ogni caso rubato la vita.

Share this article