L’anima rock di Vasco Rossi

14 Gennaio 2014 di Indiscreto

Maurizio Solieri ha raccontato a Glezos la sua musica e il suo rapporto con la più grande rockstar italiana nel libro ‘Alla ricerca del Vasco perduto’. In questa intervista esclusiva lo ha fatto per Style: dagli anni Ottanta del grande successo al rapporto attuale con i fan, passando per tanti episodi ai confini del culto. Adesso, in piena disillusione, sul futuro della musica italiana la pensa come Zucchero.

Il chitarrista di Vasco Rossi. Definizione che rappresenta al tempo stesso una fortuna e quasi una condanna per Maurizio Solieri, sessant’anni e non sentirli, che da Concordia sulla Secchia è partito sfuggendo a un destino già segnato come medico e raggiungendo i piani alti del rock. Con la Steve Rogers Band, o anche mettendosi in proprio. Ma sempre professionisticamente consapevole di non poter sfuggire alle etichette e soprattutto alle domande sul suo rapporto con Vasco. Altalenante, per usare un eufemismo, ma anche unico. Un’amicizia complessa, che Solieri ha ben raccontato in vari capitoli del libro ‘Alla ricerca del Vasco perduto – Creazione di una rockstar’ (Appena uscito per l’editore Indiscreto: 320 pagine in vendita su Amazon e in libreria), opera che con il contributo di altri protagonisti dell’epoca ricostruisce con testimonianze e materiale inedito gli anni Settanta della musica italiana e il percorso di Vasco verso il successo. Solieri ha cercato anche lì di chiarire una volta per tutte il mistero della cosiddetta svolta di Albachiara, cioè della nascita del Vasco rock dopo gli inizi cantautorali. Per dirla in maniera brutale, la domanda è questa: al Vasco rock ha contribuito in modo decisivo il guitar hero di Concordia sulla Secchia? Parte del popolo di Vasco risponderebbe che è Solieri a dover ringraziare Vasco, ma è evidente che rimanendo sul piano del tifo non se ne esce. Solieri ha spiegato la sua posizione anche a Style, non solo su Vasco (basta!) ma anche sul resto della musica italiana. Tenuta in vita artificialmente dai talent show, ma a livello di creatività e di industria discografica ormai al capolinea.

Glezos: Dopo 36 anni passati fianco a fianco con Vasco, non ne potrai più delle domande sul tuo rapporto con lui…

Maurizio Solieri: Il problema è che sono i media a gonfiare ogni virgola nei nostri rapporti, quando nella realtà tra noi due c’è sicuramente grande stima e grande affetto. Ma tra social network, siti internet e giornali vari la gente non vede l’ora di massacrarti… Sono una persona che ha sempre vissuto molto con i piedi per terra: ecco perché quando in giro si rivolgono a me chiamandomi “Maestro” mi scappa da ridere. Mi viene veramente da ridere, perché so il culo che mi sono fatto e che mi faccio tuttora, non è che arrivo con la limousine, l’autista eccetera. Io e Vasco siamo diversi, nel senso che sicuramente io sono molto più solare: a me piace andare a cena con gli amici, i musicisti che suonano con me sono sempre gli stessi, oppure se ce ne sono di nuovi è comunque tutta gente che ha un po’ la mia filosofia. Poche menate, per favore, non sono mai stato il tipo torturato. Vasco è una persona più riservata di me, ma fin dal 1977 lui è sempre stato così. Per dire, andavi al ristorante e lui era sempre a capotavola, non nel senso che ci fosse della distanza tra lui e gli altri, ma di sicuro era un osservatore divertito. Noi facevamo i cretini e lui si divertiva da matti, ma standosene un po’ da parte e senza mai essere al centro del casino. Quello lo facevamo noi.

G: Avrete avuto un momento magico insieme, in tutto questo tempo.

MS: Il periodo che mi è rimasto dentro è quando noi della Steve Rogers Band lo accompagnavamo nei primi anni di vero successo. Ad esempio il 1983: figurati come la vivevamo noi – che eravamo abituati ai festival dell’Unità della nostra zona – a metterci in viaggio da Bologna a Palermo e subito dopo il concerto mangiare, bere e tornare in macchina in Emilia. Nel 1983 si incominciava a vedere qualche soldino e si suonava su tutto il territorio nazionale. In particolare i tour del 1985 e 1987 furono molto belli perché lì eravamo una vera band in tournée con gli sleeper bus inglesi, il service inglese e Vasco che era molto spesso in viaggio con noi. Sono stati i momenti più divertenti, anche perché il livello musicale cresceva insieme alla popolarità.  

G: Come trovi i suoi brani recenti rispetto a quelli del passato?

MS: Alcuni sono molto belli, in altri Vasco va giustamente incontro a un altro tipo di mercato: è inutile fare un disco di heavy metal. Quando negli album di Vasco senti delle novità – l’inserimento dell’elettronica da ‘Bollicine’ in poi, oppure un certo tipo di basso slap o altro ancora – sono idee vengono dalla produzione, perché Guido Elmi vuole sempre dei cambiamenti e cerca di metterci dentro qualcosa di nuovo, senza snaturare la classicità di Vasco.

G: Senza di te, la svolta rock di Vasco a inizio anni Ottanta ci sarebbe stata comunque?

MS: Non lo so, non lo possiamo sapere. Ma quando mi dicono che la svolta rock di Vasco sono io, rispondo che molto probabilmente qualcosa di vero c’è. Io avevo un certo tipo di suono e lui questa voce che lega molto bene con le chitarre: il suo è un background musicale diverso dal mio, ma è chiaro che lui ci sta dentro benissimo. Ai tempi degli esordi le chitarre distorte erano importanti, si mischiava un po’ di tutto e il rock era un genere seguitissimo, non era tutto poppettino-funkettino-hip-hoppino come oggi. In quei giorni potevi anche permetterti il lusso di fare degli arrangiamenti un po’ rischiosi, e allo stesso tempo vendere i dischi.

G: Sul web abbiamo letto alcune tue risposte quasi annoiate a qualche post di tuoi fan. Non ti piace il contatto via Internet?

MS: Ho un rapporto non troppo entusiasta con la rete: mi annoio a rispondere sempre alle stesse quattro domande sulla chitarra tale o la pedaliera talaltra. Oltre al mio website c’è un sito che mi hanno dedicato alcuni fan e ho appena riaperto la mia pagina Facebook. Quando la gente sa di poterti contattare, la porta è aperta a invidie e rompimenti vari.

G: Negli anni è cambiato qualcosa nel tuo rapporto con i media?

MS: Sono diventato molto più aggressivo, soprattutto nei confronti di un certo tipo di pseudo-giornalisti. Quelli che ti rompono i coglioni: gossip, solo gossip, sempre e solo alla ricerca di polemiche. Quando mi chiedono in modo arrogante notizie su Vasco, rispondo sempre allo stesso modo: “Rivolgetevi alla sua addetta stampa”.

G: Cosa non ti piace, nello scenario musicale italiano attuale?

MS: Mah. Qualche tempo fa ho fatto un’ospitata in TV con Bianca Atzei, una ragazza prodotta da RTL. In quell’occasione c’era anche Marco Mengoni: va bene che ognuno può fare quello che gli pare, ma credo che gente che si esprime in un modo così innaturale come il suo, tutta vocalizzi e ciuffo, beh, ti fa pensare che qualcosa non va.

G: Cosa manca di più, oggi?

MS: Credo che soprattutto di questi tempi sarebbe salutare andare un po’ a culo, come si suol dire dalle nostre parti, con animo leggero e in allegria. Anche in quello che è il tuo lavoro: ad esempio, io passo da concerti pazzeschi in stadi strapieni – lo sottolineo perché la gente adesso sembra vivere di soli numeri – a situazioni molto più piccole. Mi chiedono sempre cosa si prova a suonare davanti a tanta gente, se ho visto gli striscioni e cose del genere. Io rispondo sempre che non ci penso e che non ho visto niente, perché in quei frangenti sto pensando a suonare: dirlo sembra una cosa ovvia, ma evidentemente non lo è così tanto. Finito il concerto allo stadio, cerco di creare l’atmosfera giusta anche nelle occasioni più raccolte. Ad esempio, la scorsa estate mi è capitato di suonare a Ostuni in un locale sulla spiaggia: un impianto piccolo, tre faretti e via, ma ci siamo divertiti un sacco.

G: Domanda ovvia: c’è un grande nome col quale avresti voluto o vorresti collaborare?

MS: (Ci pensa a lungo, ndr) Aerosmith. Se devo fare un nome recente, dico i Rival Sons. Ma confesso che non sono un iper-fan, uno di quelli che ti dice smaniando: “Vorrei tanto suonare con Tizio o Caio”. Non sono il tipo.

G: Ti senti sottovalutato?

MS: Al contrario, a volte mi sembra di essere fin troppo sopravvalutato. Sono molto onorato del fatto che nell’ambiente musicale io sia tenuto molto in considerazione, anche perché tutti riconoscono che non mi sono mai svenduto. Ricordiamoci che lavoro con Vasco Rossi che è il numero uno in Italia e qui da noi c’è un’invidia bestiale. Da parte mia, vorrei solo essere messo nelle condizioni di fare un disco e portarlo in tour per farlo ascoltare.

G: Come vedi il futuro della musica?

MS: Malissimo, anche per quello che mi riguarda. Ne parlavo recentemente con Zucchero: perchè farsi un culo della madonna per fare un disco che poi nessuno compra? Non ha senso. Nel mio caso cerco di salvare il salvabile, nel senso che non ho voglia di impegnarmi in situazioni che non ti portano da nessuna parte. Io ho pubblicato un album solista credo di qualità (‘Volume 1’, uscito nel 2010, ndr), ho suonato in giro anche in grandi concerti, però tutto rimane com’era prima. In più, la gente mi chiede di fare delle foto insieme più di quanto voglia sentirmi suonare ed è per questo che l’ho detto più volte: ma quali concerti live, facciamo un foto-tour per i fan, che facciamo prima. Tant’è vero che quando mi muovo in aereo per fare delle serate, magari al Sud, non mi porto dietro nemmeno la chitarra, me la faccio procurare sul posto. Ovviamente cerco sempre di dare il meglio, ma è chiaro che non ci sono stimoli. Un futuro in cui le cose possano migliorare non esiste. Ti chiamano, “facciamo qui, facciamo là”, poi alla fine non si fa mai un cazzo.

G: Ti diverti ancora?

MS: Certo, quando capita una situazione un po’ più professionale è chiaro che lavori meglio. Ma se ti devo dire la verità non mi diverto sempre, anzi. Suono tanto dal vivo in estate, qualcosina a inizio anno, poi poca roba. E’ anche colpa dei proprietari dei locali che fanno suonare quasi solo le tribute band, che tranne qualche eccezione evito accuratamente. Per il resto, di canzoni ne scrivo sempre: d’inverno ho quel mese, mese e mezzo in cui butto giù pezzi nuovi, ma poi… boh. Stiamo a vedere, anche se al momento non ho speranze né ho voglia di fare cose a mio nome. Non me ne frega niente.

(l’intervista di Glezos a Maurizio Solieri è stata pubblicata su Il Giornale Style uscito venerdì 10 gennaio 2014)

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