Utilità del servizio militare

3 Gennaio 2014 di Stefano Olivari

Camille Paglia sarà sempre definita ‘la femminista Camille Paglia’ nelle didascalie, un po’ come Digao sarà condannato per l’eternità al ruolo di ‘fratello di Kakà’. Negli ultimi giorni è rimbalzata nel flipper web la sua intervista al Wall Street Journal in cui in sostanza ha messo in relazione il declino della civiltà occidentale (anche) con l’assottigliarsi delle differenze fra uomini e donne. Rimandiamo alla lettura dell’intervista, piena di spunti (dall’abbigliamento all’educazione, con una geniale osservazione sul ‘quasi obbligo’ dell’università) scorretti secondo il suo pubblico ‘liberal’, una parte del quale l’ha già collocata in Tea Party e dintorni. Noi siamo rimasti colpiti dalla parte sul servizio militare: “The entire elite class now, in finance, in politics and so on, none of them have military service – hardly anyone, there are a few. But there is no prestige attached to it anymore. That is a recipe for disaster. These people don’t think in military ways, so there’s this illusion out there that people are basically nice, people are basically kind, if we’re just nice and benevolent to everyone they’ll be nice too. They literally don’t have any sense of evil or criminality“.

La Paglia traduce direttamente in politica il fatto che ormai quasi nessun leader occidentale abbia un passato militare, fosse anche solo in ufficio a fare fotocopie. Da Kennedy a Bush padre, passando per tanti altri (l’insospettabile Jimmy Carter, Nobel per la Pace, frequentò la Naval Academy e rimase in Marina per quasi 10 anni, fra Atlantico e Pacifico, prima che la morte del padre gli imponesse di tornare agli affari di famiglia), per poi approdare all’imboscatissimo Clinton (si fece raccomandare da un senatore per evitare il Vietnam) all’imboscato Bush W.  (nella Guardia Nazionale) e a Obama, che almeno non ha avuto bisogno di furbate per evitare di regalare un anno o più alla patria. Perché il punto secondo noi è proprio questo e non riguarda il concetto di ‘militare’, ma quello più alto di convivenza civile in una comunità. Il servizio di leva è stato abolito in Italia nel 2004, anche se già da qualche anno veniva esentato praticamente chiunque ne facesse richiesta: diciamo che è molto difficile trovare un italiano nato dal 1980 in poi che sia stato obbligato a ‘perdere’ un anno. Il punto è che l’abolizione del servizio di leva, non a caso sostenuta dal 90% dei partiti ma anche dei loro elettori, ha ingigantito la già naturale tendenza all’egoismo e all’individualismo del nostro paese.

Perché non introdurre l’obbligo per tutti di un anno di servizio civile? Le occasioni per essere utili al prossimo, pulendo le strade o leggendo il giornale ai ciechi, non mancano e non si può sempre tutto lasciare al buon cuore dei pochi che hanno buon cuore. C’è poi il capitolo di chi è nato prima del 1980 e il servizio, né militare né civile, lo ha dribblato con le raccomandazioni o le scuse più fantasiose: ai nostri tempi era di gran moda fare la parte del tossico, mentre potevi pagare caro quella di omosessuale. Un gioco un po’ cattivo che facciamo spesso è quello di chiedere a nostri coetanei, o persone dai 40 anni in su, dove abbiano fatto il militare.

Non per curiosità, ma solo per capire se davanti abbiamo un furbo, uno che alla prima occasione ti fregherà, o uno che potrebbe fregarti ma non è detto che lo faccia: se hai ritenuto giusto interrompere il lavoro o lo studio solo per rispettare una legge, che magari neppure condividi, allora c’è una base comune su cui costruire qualcosa. Il servizio militare come indicatore di furbizia? Fra Berlusconi, Alfano, Renzi, Vendola, Grillo, Salvini e Monti (non è più presidente di Scelta Civica, ma il leader rimane lui), in quanti avranno buttato via un anno come i loro connazionali di ceto sociale più basso? Non è una domanda retorica, proprio non lo sappiamo. Magari sono stati tutti e sette nella Folgore, oppure qualcuno ha cambiato le mutande ad anziani non autosufficienti.

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