Una squadra, ma non di amici

29 Aprile 2022 di Stefano Olivari

Fra i grandi successi dello sport italiano quello meno celebrato è stato di sicuro la vittoria della Coppa Davis 1976, di cui si è tornati a parlare solo in questi giorni per la docu-serie, qualsiasi cosa voglia dire, Una squadra, il lavoro di Domenico Procacci che sarà nei cinema il 2,3 e 4 maggio, e poi dal 14, dieci giorni dopo, su Sky. Poi ci si lamenta che la gente non va più nelle sale. Anche se, per esprimerci in cialtronese, potremmo dire che sono esperienze diverse…

Ma ovviamente volevamo parlare di tennis e appunto di quella Davis, che fu l’unica vinta in quel grande ciclo di Panatta-Bertolucci-Barazzutti-Zugarelli, da ricordare anche per le tre finali, tutte giocate in trasferta, con l’Australia di John Alexander, gli Stati Uniti di McEnroe e la Cecoslovacchia di Lendl. Con il viaggio in Cile, nel Cile di Pinochet, che di fatto fu imposto da Nicola Pietrangeli, capitano grandissimo ma poco apprezzato dai suoi giocatori, in particolare da Panatta, che non tolleravano che media e pubblico spesso considerassero lui e non loro la stella della squadra. E che alla prima occasione, nel 1978, lo fecero fuori, con Panatta ad imporre il suo amico Bitti Bergamo.

Poi il tempo cancella tutto: Pietrangeli ha 89 anni, Panatta 72, eccetera… Ma non cancella che quella fosse tutto tranne che una squadra, e meno che mai una squadra di amici. Come prova anche il fatto che nel dopo tennis non si siano mai frequentati nemmeno di striscio, tranne qualche volta Panatta e Bertolucci prima del grande freddo seguito alla scelta di Bertolucci di succedere a Panatta come capitano di Davis. Che per vincere si debba essere amici è poi un falso mito, smentito dagli sport di squadra e a maggior ragione da quelli individuali.

Eravamo al Foro Italico, in una domenica di pioggerellina ma in cui comunque si giocò, quando nel 2016 i quattro moschettieri azzurri poco prima della finale vinta da Murray su Djokovic, furono premiati dalla FIT di Binaghi per il quarantennale dell’impresa. Una scena imbarazzante, nonostante un Malagò cerimoniere in grande forma, visti i rapporti di Panatta con la federazione (anche al netto delle vicende giudiziarie, con lui dalla parte del torto) e la palese poca sintonia fra tutti. Quasi un atto dovuto, un compitino.

Perché Bertolucci nella memoria collettiva viene sempre ricordato sempre in relazione a Panatta, ma come singolarista fu anche più promettente di lui (numero 12 del mondo a 22 anni…) prima di adagiarsi nel ruolo di giocatore da Davis e di spalla del divo. Barazzutti, al suo top numero 7 ATP, si riteneva sottovalutato dai giornalisti, anche per il suo stile di gioco scacciapubblico (a chi critica il tennis di oggi andrebbe inflitto almeno un game di Barazzutti-Higueras, e citiamo due ex top ten), mentre Zugarelli (numero 24 al suo meglio) era l’eterna riserva, legata pochi exploit, su tutti quello sull’erba contro Roger Taylor e John Lloyd, nel magico 1976.

Siamo sicuri al 100% che in assenza di infortuni l’Italia di Berrettini, Sinner, Sonego e Musetti vincerà come minimo una Davis, anche improvvisando il doppio che con la formula attuale è ancora più importante. Successi che saranno senz’altro più celebrati di quello del 1976, quando il 90% di politici e media diceva cose non dissimili da quelle che si dicono oggi sulle sanzioni ai russi. E non a caso Panatta. Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli, all’epoca incerti, ritengono una follia tenere fuori Medvedev o Rublev da Wimbledon e a maggior ragione da Roma. Amici mai, un mito sempre. Se nel 2022 in qualche bar italiano, anche bar web, si parla di tennis il merito è loro.

info@indiscreto.net

Share this article