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Tutta colpa di Corona
Stefano Olivari 21/01/2013
Il nemico pubblico numero uno, il Dillinger italiano, è Fabrizio Corona. Che mentre scriviamo queste righe è latitante, dopo la condanna a cinque anni di reclusione per estorsione aggravata ai danni di David Trezeguet che si è sommata a una condanna precedente per vicende analoghe (con altri calciatori, da Francesco Coco in giù, coinvolti) e che quindi, senza entrare nei tecnicismi giudiziari, impone all’agente (che molti giornalisti, che copiano dall’articolo precedente del collega, continuano a definire ‘fotografo’ quando Corona in vita sua avrà fatto al massimo una decina di scatti e tutti dal cellulare) di fotografi il ritorno in carcere. La grande colpa di Corona? Non avere proposto l’acquisto di foto in pose non da atleti (o magari anche sì, per certi aspetti) ai giornali italiani, consapevole del fatto che non sono interessati al gossip a meno che non sia pilotato o copiabile da giornali stranieri (perchè le escort le pagano solo Cristiano Ronaldo e Rooney) e a dirla tutta nemmeno alle notizie. La realtà del paparazzo del terzo millennio è che le sue foto dal punto di vista giornalistico valgono ormai pochissimo, perché i pochi giornali ancora in vita pochissimo le pagano. E se il personaggio fotografato offre di più e Corona lo può avvicinare per fargli la proposta, perché rifiutare un’opportunità di guadagno? Stiamo parlando di soldi, non di massimi sistemi: non a caso la storia con Trezeguet si è chiusa, dal punto di vista di Trezeguet, con soldi, tanti, dati da Corona al giocatore a titolo di indennizzo. Non si capisce quindi quale sia l’interesse dello Stato italiano nel perseguire, ma diciamo pure perseguitare, uno che non sarà mai difeso dalla cosiddetta classe verbale, quella delle buone maniere e dell’accettazione in società. Migliaia di testimonianze, mesi di lavoro di magistrati e poliziotti, per difendere che cosa? Forse il diritto di sentirsi impuniti perché tanto nessuno avrà il coraggio di pubblicare brutte foto di un’eroe popolare.