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Il Reis e la Turchia neo-ottomana
Andrea Ferrari 27/12/2016
“Dovevo fermarmi otto mesi e invece ci sono restata otto anni vedendo con i miei occhi il passaggio, giorno per giorno, da una democrazia a un regime autoritario“. Un passaggio che ha un nome e un cognome: Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco a cui è dedicato il libro “Il Reis” di Marta Ottaviani (Textus Edizioni), giornalista e scrittrice tra i massimi esperti di Turchia, che racconta come il Paese non aspiri più ad essere un ponte tra est e ovest, ma abbia mire egemoniche sul Medio Oriente anche a costo di scelte a dir poco azzardate.
“Per indicare la schizofrenia di Erdogan in politica estera basti ricordare il rapporto con l’autoproclamato Stato Islamico. Per mesi la Turchia ha cercato una sponda in chiave anti-curda fino a ritrovarsi un nemico in casa con una situazione ormai ingestibile. Così come azzardata è stata la gestione del rapporto con la Russia e il continuo “tira e molla” con l’Unione Europea, un rapporto mal gestito da entrambi, ma è dal 2007 che la Turchia non fa passi significativi per l’adesione“.
A proposito di curdi, tu sei stata a Kobane, la loro roccaforte in Siria assediata dell’Isis. A che punto è la lotta di questo popolo per l’indipendenza?
“Ci sono varie anime, quella più disposta a trattare e quella più per la linea dura del PKK che si finanzia con il traffico d’armi e droga. Il leader del partito curdo HDP Demirtas, da alcune settimane agli arresti, ha sempre cercato di smarcarsi dalla lotta armata del PKK, e c’è stato un momento, nel 2009, in cui pareva che la questione curda poteva esser risolta ai tavoli politici, ma la “road map” di Erdogan s’è rivelata strumentale per favorire la sua riforma presidenziale e quando i curdi si son smarcati da questa riforma costituzionale Erdogan ha fatto marcia indietro. Senza dimenticare la sinergia che s’è creata tra Turchia e Isis in chiave anti-curda: il punto di non ritorno è stato proprio l’assedio a Kobane, dove l’esercito turco ha addirittura ostacolato la difesa dei curdi assediati, l’ho visto coi miei occhi, impedendo il passaggio dei Peshmerga dall’Iraq“.
Cosa ne pensi del recente assassinio dell’ambasciatore russo?
“Ritengo azzardato credere che dietro questo fatto di sangue ci sia lo Stato Islamico in modo ufficiale e strutturato. Persone come il killer, in questo momento in Turchia, ve ne sono a centinaia. Tutte potenzialmente pronte a colpire, figlie loro malgrado della denegerazione interna del Paese, aggravata in modo inquietante dalla gestione scellerata della crisi siriana“.
Il titolo del tuo libro fa venir in mente l’appellativo di Saddam, “il Rais”, e gli sconvolgimenti avvenuti in quei territori.
“La Turchia ha usato l’Isis per destabilizzare Siria e Iraq perché erano due territori dove Ankara voleva far la voce grossa, finché a Mosul i loro interessi hanno iniziato collidere. Da lì nasce una frattura, però non mi sorprenderei che la Turchia continuasse ad aiutare se non l’Isis direttamente, alcune fazioni dell’opposizione ad Assad. Turchia e Siria condividono 900 chilometri di confine e dall’inizio del conflitto è passato di tutto da quelle parti, sia in termini di armi che di uomini. Daesh ha iniziato a infiltrare la Turchia dal 2013 e lo sapevano tutti, anche noi corrispondenti, figurarsi l’intelligence turca...”.
Torniamo un attimo ad uno degli eventi clou del 2016… alcuni dicono che sia stato un finto golpe orchestrato da Erdogan stesso.
“No, il golpe è stato reale, ma è stato portato avanti in stile Armata Brancaleone da una parte minoritaria dell’esercito alla quale son mancati appoggi che erano stati promessi, soprattutto da alcuni generali che poi si sono sfilati. La cosa interessante è il fatto che molti sapessero del golpe imminente, tanto che Demirtas in una intervista ha detto che l’80% dei parlamentari lo sapeva. Non è stato fatto nulla perché poi sarebbero scattati dei meccanismi di rivalsa che avrebbero dato luogo alle grandi purghe che abbiamo visto negli ultimi mesi. Di certo molti stati l’avrebbero visto con favore, ma non credo siano coinvolti e mi riferisco agli USA“.
Cosa cambia per la Turchia, secondo esercito della NATO, con Trump presidente?
“Il fatto che Trump abbia nominato nel suo staff un generale noto per le sua antipatia verso Gulen, il businessman-predicatore che vive negli Usa e accusato di essere l’ispiratore del golpe, è significativo. Erdogan punta molto ad avere buoni rapporti con Trump e ha chiesto ufficialmente che la Turchia sia il primo paese visitato dal presidente statunitense”.
Dopo il tentato golpe, vedi un esercito ormai impotente in termini della difesa della Turchia laica e kemalista?
“Sì, ora c’è una componente ultra-nazionalista che è stata riesumata da Erdogan dopo che l’ha combattuta per anni. L’esercito, così come gli altri poteri, è sotto il controllo di Erdogan e nulla gli sfugge, purtroppo, per questo si dice disposto spavaldamente a lasciare il potere in modo democratico, è come una partita a carte in cui il Reis ha tutte le carte migliori in mano”.
Qualora dovesse perdere consenso, Erdogan potrebbe lasciare il potere in maniera democratica?
“Uno dei motivi del suo potere è che dall’altra parte non ci sono veri oppositori: lui ha sempre detto
che lascerà se non avrà più le preferenze degli elettori, ma il problema è che il Reis usa il consenso che ha per fare fuori i suoi oppositori tipo il leader dei curdi Demirtas. Inoltre la legge anti-terrorismo restringe strumentalmente il campo d’azione delle opposizioni con la scusa della lotta al terrorismo“.
Vedi ancora come realistica l’ipotesi d’ingresso nell’Unione Europea?
“I politici dicono: ‘La storia passa, la geografia resta’, tuttavia quel che ha provocato Erdogan in questi anni è un cambiamento culturale in contrasto con le basi portanti dell’UE. Ma soprattutto il dato fondamentale è che la Turchia non vuole più entrare nell’Unione Europea. L’Europa ormai interessa solo come mero accessorio per scopi utilitaristici, il Reis ha usato l’adesione per scardinare un certo status quo nel paese come ad esempio il potere dei militari. Il grande errore dell’Europa è stato di affidarsi totalmente ad Erdogan in chiave anti-esercito e lascia sconcertati il fatto che non l’abbiano capito o non l’abbiano voluto capire, così come non han compreso nulla delle cosiddette primavere arabe“.
Come vedi la Turchia tra dieci anni?
“Ho paura a pensarci ed è difficile fare previsioni. La Turchia di un decennio fa era completamente diversa da quella di oggi e temo che questo cambiamento continuerà in peggio.
Chi è stato epurato verrà sostituito da persone lontane dall’Europa e contrarie alla modernizzazione. Il problema è che nella sera del colpo di stato è scesa in piazza anche la parte peggiore del Paese, gente intollerante e radicalizzata che il golpe ha ufficialmente sdoganato“.
Fammi due scenari: il migliore e il peggiore.
“Il peggiore, ma purtroppo anche il più realistico, è che Erdogan continui la sua opera di radicalizzazione, con una Turchia sempre più nazionalista e con istanze neo-ottomane. Lo scenario migliore è che ci sia un’altra ‘Gezi park’ che abbia poi una traduzione politica con l’Europa che non stia ferma a guardare come l’ultima volta…“