Trenta anni dopo Viola

13 Novembre 2012 di Fabrizio Provera

Scriviamo sull’onda emotiva dello speciale andato in onda ieri sera su Rai 3 (ovviamente, dopo le 23) e dedicato al grande Beppe Viola, il giornalista Rai amico-di-jannacci-coautore-di-quelli-che, stroncato da un malore a soli 43 anni, nel 1982, mentre nella redazione milanese della Rai montava il servizio su Inter-Napoli. Eravamo reduci da una serata televisivamente infelice: la diretta in simulcast di Roma-Siena di basket su Sportitalia 2 e La7D, con SI muta per un quarto e mezzo, a seguire le voci di Niccolò Trigari e Dan Peterson che si sovrapponevano a Pozzecco e Francica Nava su La7, poi ancora il silenzio. Una diretta da commedia degli equivoci, per la cui analisi vi rimandiamo al sempre acuto Stefano Valenti ed al suo blog. Su Sky ci siamo quindi trastullati col dibattito tra i candidati alle primarie del Pd, con la pur generosa e brava Laura Puppato e la fronte corrugata di Bruno Tabacci, che guardava ovunque ma non in camera.

Meno male che alle 23.10 ci siamo imbattuti nello speciale di Paolo Aleotti e Paolo Maggioni, capaci di ricostruire la storia di questo funambolo del microfono che amava giocare ai cavalli, dinoccolato e incapace di prendersi troppo sul serio, dall’ironia tagliente come un coltello da sushi. Beppe Viola raccontato da Gianni Mura, che ha rievocato i pranzi a base di nervetti con cipolle (chissà che orrore, per le impiegate-manager-donne in carriera milanesi smunte e diafane; tutte donne senza canti, senza sorriso, senza suoni e senza vino), da Piero Colaprico, da Curzio Maltese. La Milano che va in tram, oggi come allora, la Milano bella solo se  rievocata e guardata al passato, perché il presente fa schifo ma per davvero. La Milano post operaia, con le riprese alla vecchia fabbrica della Innocenti, perché uno dei due autori viene pur sempre da Radio Popolare, e la gauche milanese ha sempre considerato Beppe Viola figlio suo; magari irregolare e degenere, ma suo.

Beppe Viola, che come tutti quelli geniali era avanti anni luce, difatti chiedeva a Graziani della presenza di omosessuali in Nazionale nel 1980, mica nel 2012, ma senza processi o toni curiali e austeri. E il buon Ciccio, con ghigno beffardo e ancora i capelli in testa, a rispondere che “veramente io non ne ho mai conosciuti. Anzi, siamo pieni di gente che ci dà dentro e mica poco, con le donne”. Ci credo, con Marco Tardelli e Antonio Cabrini compagni di Nazionale, sai che serate. Beppe Viola che sfotte il grande Paolo Casarin per il modo di vestire, Beppe Viola che cammina nella neve di san Siro, Beppe Viola con la sciarpa. Beppe Viola, che tristezza. Beppe Viola, che ci fa volgere gli occhi al passato e constatare che il giornalismo sportivo di allora – rispetto a quello di oggi – era come l’Himalaya rispetto ai Colli Piacentini, dove peraltro si producono grandi vini (Gutturnio non frizzante, in primis). Una Milano bella da morire, uno speciale che ti prende alla gola. Poi, mentre navigavamo sul web in cerca del Viola che non abbiamo letto a sufficienza, ci siamo imbattuti nel necrologio che scrisse Gianni Brera su Repubblica. Gianni Brera, che ricorderemo tra un mese, nel ventesimo della sua dipartita: 19 dicembre 1992, 19 dicembre 2012. Pur avendo letto tutte le raccolte dell’Arcimatto, il canto sofferto del Principe della Zolla ce lo eravamo persi. Ma dopo averlo letto, c’è rimasto spazio solo per il sienzio.

Era nato per sentire gli angeli e invece doveva, oh porca vita, frequentare i bordelli. Povero vecchio Pepinoeu! Batteva con impegno la carta in osteria e delirava per un cavallo modicamente impostato sulla corsa; tirava mezzo litro e improvvisava battute che sovente esprimevano il sale della vita. Aveva un humour naturale e beffardo: una innata onestà gli vietava smancerie in qualsiasi campo si trovasse a produrre parole e pensiero. Lavorò duro, forsennatamente, per aver chiesto alla vita quello che ad altri sarebbe bastato per venirne schiantato in poco tempo. Lui le ha rubato quanti giorni ha potuto senza mai cedere al presago timore di perderla troppo presto. La sua romantica incontinenza era di una patetica follia. Ed io, che soprattutto per questo lo amavo, ora ne provo un rimorso che rende persino goffo il mio dolore…

(Gianni Brera – È morto Giuseppe “Pepinoeu” Viola. Aveva 43 anni – La Repubblica, 19 ottobre 1982).

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